Nuovo appuntamento con Shakespeare al teatro elisabettiano di Villa Borghese. Sul palcoscenico del “cerchio di legno” è la volta del Re Lear, nel medesimo allestimento “tecnologico” del 2013, firmato da Daniele Salvo. In realtà le proiezioni su sipari trasparenti non aggiungono granché alla narrazione – casomai riducono la magia di quello sforzo di immaginazione richiesto esplicitamente allo spettatore dal Bardo nel celebre prologo dell’Enrico V – ma è comunque indubbio il talento del giovane regista emiliano nel mettere in scena i grandi drammi shakespeariani.
Altra caratteristica di questo allestimento è il torbido rapporto sensuale – senza distinzioni di genere – che lega molti personaggi, a cominciare dal perfido e ambizioso Edmund (uno scatenato Ivan Aloisio), che si promette a entrambe le avide figlie maggiori del vecchio re, Goneril (Marcella Favilla) e Regan (Silvia Pietta).
Re Lear è la tragedia dei padri che non capiscono i figli: non solo il sovrano (interpretato da Graziano Piazza, sostituito in extremis per una sera dallo stesso Salvo) che abdica e disereda la dolce e sincera Cordelia (Mimosa Campironi), ma anche il suo fidato consigliere Gloucester (Francesco Biscione), che si fa facilmente ingannare dal figlio illegittimo Edmund e scaccia il tranquillo Edgar (un ispirato Pasquale Di Filippo), costretto a vagare per i boschi nei miseri panni del “povero Tom” fino all’incontro con il padre reso cieco dai suoi nemici e all’epico duello finale con il fratellastro.
Più profonda la discesa verso la follia del vecchio re: persi rapidamente i cento turbolenti cavalieri della sua scorta, ad accompagnarlo nei suoi ultimi giorni rimangono ben presto soltanto il fedele Kent (un convincente Elio D’Alessandro) – anche lui bandito all’inizio in un eccesso d’ira e costretto per questo a mascherarsi da mendicante – ed il buffone (Fool, interpretato da una poetica Selene Gandini): l’unico a cui Lear permette di prendersi confidenze e di dire la verità senza adirarsi («Sei diventato vecchio prima di diventare saggio»), prima della tardiva riconciliazione con Cordelia.
Il finale consola solo in parte: nel metamondo shakespeariano, infatti, viene spesso ristabilita la verità, ma con una giustizia che salva l’onore, non la vita dei personaggi “buoni”. E come nell’Amleto, estinta in una lotta fratricida tutta la discendenza di Lear, sarà un esterno, il duca di Albany, a salire sul trono della Britannia.
Alessandro Testa