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Globe Theatre, torna il dramma familiare del Re Lear

di Alessandro Testa02 Agosto 2015
02 Agosto 2015

Re Lear

Nuovo appuntamento con Shakespeare al teatro elisabettiano di Villa Borghese. Sul palcoscenico del “cerchio di legno” è la volta del Re Lear, nel medesimo allestimento “tecnologico” del 2013, firmato da Daniele Salvo. In realtà le proiezioni su sipari trasparenti non aggiungono granché alla narrazione – casomai riducono la magia di quello sforzo di immaginazione richiesto esplicitamente allo spettatore dal Bardo nel celebre prologo dell’Enrico V – ma è comunque indubbio il talento del giovane regista emiliano nel mettere in scena i grandi drammi shakespeariani.

Altra caratteristica di questo allestimento è il torbido rapporto sensuale – senza distinzioni di genere – che lega molti personaggi, a cominciare dal perfido e ambizioso Edmund (uno scatenato Ivan Aloisio), che si promette a entrambe le avide figlie maggiori del vecchio re, Goneril (Marcella Favilla) e Regan (Silvia Pietta).

Re Lear è la tragedia dei padri che non capiscono i figli: non solo il sovrano (interpretato da Graziano Piazza, sostituito in extremis per una sera dallo stesso Salvo) che abdica e disereda la dolce e sincera Cordelia (Mimosa Campironi), ma anche il suo fidato consigliere Gloucester (Francesco Biscione), che si fa facilmente ingannare dal figlio illegittimo Edmund e scaccia il tranquillo Edgar (un ispirato Pasquale Di Filippo), costretto a vagare per i boschi nei miseri panni del “povero Tom” fino all’incontro con il padre reso cieco dai suoi nemici e all’epico duello finale con il fratellastro.

Più profonda la discesa verso la follia del vecchio re: persi rapidamente i cento turbolenti cavalieri della sua scorta, ad accompagnarlo nei suoi ultimi giorni rimangono ben presto soltanto il fedele Kent (un convincente Elio D’Alessandro) – anche lui bandito all’inizio in un eccesso d’ira e costretto per questo a mascherarsi da mendicante – ed il buffone (Fool, interpretato da una poetica Selene Gandini): l’unico a cui Lear permette di prendersi confidenze e di dire la verità senza adirarsi («Sei diventato vecchio prima di diventare saggio»), prima della tardiva riconciliazione con Cordelia.

Il finale consola solo in parte: nel metamondo shakespeariano, infatti, viene spesso ristabilita la verità, ma con una giustizia che salva l’onore, non la vita dei personaggi “buoni”. E come nell’Amleto, estinta in una lotta fratricida tutta la discendenza di Lear, sarà un esterno, il duca di Albany, a salire sul trono della Britannia.

Alessandro Testa

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