Le recenti esternazioni di Trump sul ruolo di Washington nella Nato – gli Stati Uniti sotto la sua guida non difenderebbero i Paesi “che non pagano il dovuto” – hanno destato grandi preoccupazioni in Europa. Federico Petroni, analista geopolitico per Limes e curatore della rubrica Fiamme Americane, spiega l’approccio dei due candidati all’Alleanza Atlantica.
Quanto può influire l’elezione di Biden o di Trump sul ruolo di Washington nella Nato?
“Moltissimo. Sono due papabili presidenti molto diversi tra loro e con due modalità di approccio altrettanto dissimili. Da una parte si potrebbero intravedere delle conferme, dall’altra ulteriori divisioni”.
In che modo?
“L’elezione di Trump renderebbe più chiaro che gli Stati Uniti fanno molta fatica a intervenire in Europa. Se eletto, potrebbe cercare di ridimensionare il ruolo di Washington sul continente, rendendo più manifesta la divisione tra Nato di serie A e Nato di serie B. Ovvero una distinzione che dipende anche dalla spesa militare dei singoli Paesi. Quindi chi raggiunge o supera l’obiettivo del 2% del Pil ha diritto a maggiori agevolazioni e protezioni, al contrario dei Paesi che si trovano al di sotto. Questo renderebbe più espliciti i dubbi sulla capacità degli Stati Uniti di intervenire militarmente a fianco degli alleati in caso di attacco”.
Per quanto riguarda Biden?
“L’elezione di Biden, invece, renderebbe più chiaro quanto abbiamo già visto in questi anni. Stati Uniti che sono già meno propensi a esporsi dal punto di vista militare per evitare di scoprirsi sul fronte prioritario, che è appunto quello della Cina. Una realtà, quindi, che tende a ricorrere meno all’uso della forza a causa della minaccia nell’Indopacifico”.
Questo potrebbe creare un “disimpegno” americano nei confronti dell’Europa?
“Al momento, sotto l’amministrazione Biden, gli americani non si stanno disimpegnando in nessun modo. Nel senso che non ci sono stati spostamenti di truppe verso l’Indopacifico, anzi le guerre che sono scoppiate su fronti meno prioritari, come l’Ucraina, ne sono la prova. La verità è che gli Stati Uniti non vogliono essere coinvolti direttamente in un conflitto, tantomeno con la Cina”.
Per quale motivo?
“Semplicemente perché sono già nettamente sovraestesi, in Europa e non solo, rispetto alle risorse che possiedono”.
Le scelte di rottura di Trump quale impatto potrebbero avere con la sua rielezione?
“Ci sarebbero gesti di rottura ancora più forti. Un aumento delle tariffe, ad esempio, o un incremento delle sanzioni per i Paesi che non si adeguano alle richieste di spesa in Europa. Per non parlare di un’ulteriore tensione con Francia e Germania”.
Può spiegarci meglio?
“Si tratta di due osservati speciali degli Stati Uniti. L’elezione di Trump renderebbe più esplicita una dinamica conflittuale che già esiste e spingerebbe soprattutto la Germania a cercare protezioni e rassicurazioni con i rivali dell’America”.
Quindi la Germania si potrebbe avvicinare alla Cina?
Non tanto in questo senso. Intendo che l’elezione di Trump potrebbe aumentare la volontà tedesca di compensare la mancanza di protezione con maggiori intese con la Cina, ma anche con la Russia, per preservare il proprio modello economico.