L’avanzata dell’Isis – organizzazione sunnita jihadista unitasi ad al-Qāida nel 2004 e capeggiata da Abu Bakr al-Baghdadi – lungo la vallata del Tigri a nord di Baghdad, che in soli tre giorni ha portato alla conquista di importanti città come Mosul e di parti delle province di Salahuddin, Kirkuk e Diyala, ha destato particolare preoccupazione non solo all’interno degli stessi confini iracheni, ma anche negli altri stati mediorientali, Iran, Turchia, Arabia Saudita, e negli Usa. Ora gli scontri si stanno svolgendo a Samarra, 110 chilometri a nord dalla capitale irachena, dove l’esercito sta attuando una controffensiva contro il gruppo islamista.
Nelle ultime ore, sono state pubblicate su Twitter, direttamente dagli jihadisti sunniti, delle foto riguardanti il massacro di 1.700 soldati sciiti a Tikrit, città natale di Saddam Hussein. Secondo quanto riportato da fonti vicine al New York Times, la strage sarebbe stata compiuta nonostante i militari si fossero arresi in precedenza. L’autenticità delle immagini è stata confermata stamane dal portavoce dell’esercito iracheno, il tenente generale Qassim al-Moussawi. Le foto mostrano i militanti dell’Isis caricare i prigionieri su dei furgoni e poi costringerli a mettersi con il volto a terra in un canale. Gli scatti successivi mostrano i cadaveri degli stessi prigionieri.
L’attacco dell’Isis ha provocato un drastico indebolimento dell’esercito nazionale, che si è spaccato al suo interno sia per divergenze settarie – i militari sunniti non vogliono combattere contro i loro correligionari – che per disaffezione nei confronti di un governo corrotto. Nelle cinque province settentrionali dell’Iraq erano schierate tre divisioni dell’esercito e una della polizia federale per un totale di circa 50.000 effettivi, sugli 800.000 mila di cui dispone il governo di Baghdad, equipaggiati e addestrati dagli Stati Uniti prima del loro ritiro con consistenti costi.
A Mosul, l’Isis si è impossessata, oltre che di una grande quantità di armi, munizioni ed esplosivi, di 400 milioni di dollari custoditi nella banca centrale del governatorato.
Gli unici in grado di contrastare i militanti jihadisti, sono stati i Peshmerga curdi – traducibile con “coloro che sanno affrontare la morte” – che sono riusciti a liberare la città di Kirkuk e ad appropriarsi di un ricco bottino costituito da armi e munizioni provenienti dai depositi, ormai incustoditi, delle caserme militari. Inoltre, la città sorge in una provincia nel cui sottosuolo scorre circa il 20% del petrolio iracheno.
I successi dell’Isis in Iraq segnano un’ulteriore svolta nella geopolitica del Medio Oriente: due degli Stati centrali della regione – la Siria e l’Iraq – sono sull’orlo della frammentazione e del collasso. Domina l’incertezza, sebbene essa abbia per ora avuto effetti solo marginali sul prezzo del petrolio.
Nei giorni scorsi, Hassan Rohani si era detto pronto ad aiutare Baghdad nel combattere il terrorismo, senza escludere una cooperazione con gli Usa, anche se oggi si è dichiarato ostile a «qualsiasi intervento militare straniero in Iraq». L’ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Afkham Marzieh, dopo che gli Stati Uniti hanno dispiegato una loro portaerei nel Golfo in modo da garantire flessibilità nel caso in cui il presidente Usa dovesse richiedere un’azione militare. Però, per Teheran, un’alleanza con Washington rientrerebbe in un più vasto piano di politica estera: ottenere il riconoscimento americano e, attraverso quello, la normalizzazione dei suoi rapporti internazionali e il suo riconoscimento come paese interlocutore nella regione mediorientale.
Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha dichiarato che una decisione definitiva sulla situazione irachena sarà presa nei prossimi giorni. Obama, inoltre, in una breve dichiarazione ha chiarito che qualsiasi azione statunitense dovrà però essere accompagnata da un piano del governo iracheno per includere, al contrario di quanto fatto finora, nella vita politica e sociale del Paese i sunniti, onde evitare che questi possano decidere di affiliarsi agli integralisti islamici dell’Isis.
Renato Paone