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Il giorno di Matteo. Il racconto della mattinata fuori dal Quirinale

di Anna Bigano22 Febbraio 2014
22 Febbraio 2014

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Poco prima delle 11.30, il cielo su Roma è cupo e promette un acquazzone da un momento all’altro: non un ottimo auspicio, a voler essere superstiziosi, per il nuovo governo Renzi, che si accinge a giurare nelle mani del Capo dello Stato. Attorno a piazza del Quirinale,  drappelli di scozzesi in kilt, volati a Roma per il Sei Nazioni, e qualche gruppetto di curiosi, tenuti a distanza di sicurezza da un cordone di carabinieri. Dopo il 28 aprile dello scorso anno, quando, nel giorno dell’insediamento del governo Letta, Luigi Preiti sparò a tre carabinieri e ne ferì uno in modo grave, il livello di guardia è ancora più alto: impossibile, se non per i giornalisti accreditati, avvicinarsi all’ingresso del Palazzo.

Le voci della piazza. Arrivano i neoministri, molti a piedi, qualcuno in taxi: «Ma tanto il taxi chi lo paga? Alla fine son sempre i nostri soldi», commentano alcuni fra la piccola folla. L’impressione è quella di un’attesa stanca e poco fiduciosa: «Io vengo da Pavia, gestisco il personale di un’azienda manifatturiera», racconta una signora. «Vedo tutti i mesi le buste paga. Come si fa ad essere ottimisti quando un impiegato lascia giù 8mila euro all’anno di Irpef? Vorrei credere che questa sia la volta buona per superare la crisi, ma non ci riesco». Il fatto che nel Salone delle Feste stia giurando l’esecutivo più giovane e più “rosa” della storia repubblicana non basta a placare i più scettici: «Questo governo è una pugnalata alle spalle», si infervora un sostenitore di Enrico Letta. E, a giudicare dalle immagini del gelido passaggio di consegne poi trasmesse dai tg, l’ex premier sembrerebbe d’accordo.

Le prime dichiarazioni. La squadra di Matteo Renzi inizia ad uscire meno di un’ora dopo l’inizio della cerimonia. In programma c’è già il primo Consiglio dei Ministri e infatti il “governo del fare” non si ferma a rilasciare lunghe dichiarazioni ai cronisti, limitandosi a qualche indicazione sulle priorità da affrontare: il caso marò, naturalmente, per la titolare della Difesa, Roberta Pinotti; la mobilità per i dirigenti e la situazione dei precari per Marianna Madia, ministro della Pubblica Amministrazione; il piano casa per Maurizio Lupi (Infrastrutture e Trasporti) e le risorse da destinare a ricerca ed edilizia scolastica per Stefania Giannini (Istruzione). I ministri che si avviano a piedi verso Palazzo Chigi, fra cui proprio Pinotti e Dario Franceschini (a cui è andata la Cultura), strappano comunque qualche applauso: «Impegno, mi raccomando», gridano tra la folla. «Io credo che Matteo ce la farà. L’entusiasmo ce l’ha, anche se l’impresa è titanica», chiosa un’anziana signora. Non tutti i passanti sono d’accordo con lei, ma almeno sul Colle è tornato a splendere il sole.

Anna Bigano

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