Duecento milioni in tutto il mondo, almeno 60mila in Italia. Sono moltissime le donne che hanno subito mutilazioni genitali. Una su cinque non aveva ancora compiuto 14 anni quando è stata sottoposta a una violenza silenziosa, avallata da precetti culturali e religiosi tipici di comunità diffuse in circa 30 Paesi. Numeri che vengono ricordati da Unicef e Unfpa (United nations population fund) nell’odierna Giornata internazionale di tolleranza zero contro le mutilazioni genitali femminili, istituita dall’Onu nel 2012.
“È un atto violento – spiegano Henrietta H. Fore, direttore generale Unicef, e la sua omologa all’Unfpa, Natalia Kanem – che causa infezioni, malattie, complicazioni durante il parto e anche la morte. Una violazione dei diritti umani, un ostacolo al benessere. Ma le mutilazioni genitali femminili rappresentano anche qualcosa che può essere fermato”.
Già da qualche anno le Nazioni Unite si sono attivate con decisione, inserendo il tema tra gli obiettivi dell’agenda per lo Sviluppo sostenibile. Alcuni Paesi hanno pubblicamente ripudiato la pratica e la diffusione globale delle mutilazioni si è ridotta di un quarto nel nuovo millennio. L’obiettivo è la loro messa al bando prima del 2030. Ma entro lo stesso anno, circa un terzo delle nascite in tutto il mondo avverrà in quei luoghi in cui sono ancora consentite.
Mutilazioni e violenze sulle donne In Italia. Il tema mutilazioni genitali tocca anche l’Italia, soprattutto a causa dell’intensificazione dei flussi migratori negli ultimi anni. Così, secondo gli ultimi dati, dentro i nostri confini vivono tra 60mila e 80mila donne che nascondono i segni indelebili di una violenza tanto fisica quanto psicologica.
Ma questo non è l’unico allarme scattato in queste ore nel nostro Paese: la Commissione d’inchiesta sul femminicidio, istituita nel 2017, ha elaborato un report a quattro anni dalla legge che nel 2013 ha istituito nuove misure contro la violenza di genere. Il quadro non è confortante: un quarto delle denunce viene archiviato, spesso gli abusi vengono derubricati dalle forze dell’ordine a conflitti familiari. E poi sanzioni troppo blande per le molestie sessuali sul lavoro, difficoltà nelle comunicazioni tra ramo civile e penale. Con un dato in particolare che fa riflettere: a Caltanissetta, il 44% degli imputati è stato assolto dai giudici.