Qualità, merito e formazione. Partire da questi tre elementi fondamentali per uscire dall’impasse che il mondo dell’informazione sta attraversando in questo momento. Ecco il messaggio lanciato durante il convegno tenutosi ieri a Roma nella sede del parlamento europeo, organizzato per i vent’anni della Scuola di giornalismo Rai di Perugia.
La crisi. Negli ultimi anni la crisi è peggiorata e i dati parlano chiaro: cinque testate sono state chiuse negli ultimi mesi, oltre 200 giornalisti sono in cassa integrazione e ogni anno dei mille professionisti che arrivano sul mercato non più di 200, circa un quinto, trovano lavoro. Inoltre, secondo gli ultimi dati forniti dal decimo rapporto Censis/Ucsi, continua il declino dei quotidiani che registrano un calo dei lettori del 2,3%.
Durante il dibattito, direttori, editori, manager e sindacato, erano tutti d’accordo nel puntare sulla qualità “per reinventare la professione”, così secondo il presidente della Federazione Italiana Editori Giornali, Guido Anselmi «è nata nella Fieg la commissione sulla formazione, per lavorare insieme al sindacato».
Divergenze. Ma sulla proposta di eliminare il praticantato e consentire l’accesso alla professione solo attraverso le scuole sono emerse opinioni divergenti. Secondo il direttore di Rai Parlamento, Gianni Scipione Rossi, sostenuto dal presidente della Fnsi, Roberto Natale, le scuole di giornalismo giocano un ruolo chiave nello svolgimento del praticantato: «Avere dei giornalisti pronti e preparati –ha affermato Rossi- rappresenterebbe un arricchimento per la professione giornalistica e allo stesso tempo alimenterebbe una sana competizione andando a incidere sulla qualità del prodotto giornalistico». Ma secondo il direttore del Tempo, Mario Sechi, questa «è un’ipotesi illiberale, che esclude i talenti irregolari». Anche il dg della Rai, Luigi Gubitosi, nonostante avesse sottolineato l’importanza per la tv pubblica della Scuola di Perugia ha precisato che «la frequentazione della scuola non può essere un vincolo».
Ottimismo. Luigi Contu, direttore dell’Ansa, ha invitato però all’ottimismo, sostenendo che «la professione giornalistica ha ancora un senso e soprattutto un futuro, i modelli esistenti non reggono più, quindi gli editori devono sforzarsi di aprire le redazioni perché –ha continuato- serve una flessibilità più ampia che in passato». Inoltre per il vice direttore del Corriere della Sera, Antonio Macaluso, «bisogna svecchiare i giornali e trovare un modo per far entrare i giovani». Ottimista lo è anche il conduttore di Ballarò, Giovanni Floris, il quale ha spiegato che la crisi può essere vista anche come un vantaggio perché «i sistemi quando traballano creano varchi e questo è un momento d’oro per gli outsider».
Ma il presidente della Fnsi, Roberto Natale, è meno ottimista e ricorda i gionalisti pagati a pochi euro a pezzo, sostenendo l’importanza della legge sull’equo compenso, «una speranza per i giovani precari sottopagati». Ora è in discussione alla commissione Lavoro del Senato, l’obiettivo è quello di approvarla entro ottobre.
Alessandro Filippelli