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Giorgio Napolitano: il nuovo (vecchio) Presidente della Repubblica. Una vita a metà tra comunismo e imparzialità

di Marcello Gelardini20 Aprile 2013
20 Aprile 2013

Alla fine si è deciso di puntare sull’usato garantito. Si riavvolge il nastro e si riparte lì dove ci eravamo lasciati. Scegliendo Giorgio Napolitano anche come prossimo Presidente della Repubblica, il Parlamento non solo ha ratificato il primo mandato-bis di un Capo dello Stato nella nostra storia repubblicana ma ha scelto di affidare per altri sette anni (forse) il Paese nelle mani del personaggio che più di tutti, nell’ultimo travagliatissimo biennio, ha saputo tenere unita l’Italia.
Contro i pregiudizi. Proprio lui; quel nome accolto dalle critiche del centrodestra il 10 maggio 2006, giorno della sua prima elezione al Colle; lo stesso centrodestra che oggi, al contrario, ha avallato la conferma. Questo perché, nel suo settennato, Napolitano ha gestito mille passaggi delicati mettendoci la faccia ma, soprattutto, ha convinto anche i più scettici, quelli che nulla avrebbero scommesso sulla sua imparzialità. Invece Re Giorgio, una volta varcate le porte del Quirinale, ha saputo fare i conti col proprio passato sgomberando il campo da equivoci ed ergendosi, sin dal primo giorno, a convinto e fattivo garante della Costituzione. Il Presidente di tutti.
Uno degli ultimi comunisti. Eppure la sua carriera, legata a filo doppio alla storia del Partito comunista italiano, è stata tutt’altro che un esempio di imparzialità. Parlamentare dal ’53 al ’96, più volte parlamentare europeo, Presidente della Camera (nel 1992, subentrato Scalfaro, eletto Capo dello Stato), ministro degli Interni sotto il primo governo Prodi, senatore a vita (nominato, nel 2005, dal suo predecessore Ciampi): Napolitano è indubbiamente stato uno dei protagonisti della Prima Repubblica. Uomo di apparato, membro del PCI dal lontano 1956, ha incarnato l’ala riformista del partito (favorevole alla “via italiana al socialismo”), diventando poi (negli anni ottanta) capo dei cosiddetti “miglioristi, l’ala destra del partito, tesa ad un comunismo più moderato; un passaggio che aprì una frattura con Enrico Berlinguer, allora segretario del partito, avviando la lunga stagione che, tra il 1989 e il 1991, portò alla “Svolta della Bolognina” e allo scioglimento del PCI. Di lui si ricordano soprattutto l’approvazione dell’invasione sovietica in Ungheria del ’56 e la condanna di quelle in Ungheria e Afghanistan; primo dirigente comunista a recarsi in visita negli Stati Uniti (Kissinger, segretario di Stato americano, lo definì “il mio comunista preferito); storico il suo viaggio in Israele nel 1991, in piena Guerra del Golfo. Uno degli ultimi veri comunisti; almeno fino al 2006. Perché da allora abbiamo imparato a conoscere un altro Napolitano; l’uomo che ha garantito l’unità del Paese in una delle stagioni politiche più travagliate. Diversi le questioni scottanti piombate sul suo tavolo: dalle polemiche sull’operato della magistratura con la ricerca di sedare la “guerra delle procure”, ai continui cambiamenti del quadro istituzionale (con l’appello alle riforme condivise e alla pacificazione della dialettica partitica), passando per i temi etici (su tutti il caso Englaro, quando Napolitano scelse di non firmare la sospensione l’alimentazione artificiale alla giovane Eluana) e i recentissimi coinvolgimenti giudiziari (intercettato dalla procura di Palermo nell’inchiesta sulla trattativa Stato-Mafia; nastri di cui è stata disposta la distruzione); il Presidente della vittoria dell’Italia ai mondiali del 2006, ma sopratutto il Presidente della crisi economica-finanziaria, notaio dell’avvicendamento al governo tra Berlusconi e Monti. Mettendoci la faccia Napolitano ci ha salvato dal baratro ed è stato riconosciuto anche all’estero come uno dei personaggi simbolo (in positivo) della crisi (con l’appellativo “Re Giorgio” coniato dal New York Times).
Subito al lavoro. Napolitano, ora, si appresta a rappresentare il nostro Paese in un momento, se possibile, ancora più difficile. Pensava di essersi lasciato la politica alle spalle; un ultimo sussulto di responsabilità lo ha fatto tornare sui suoi passi. Non è ancora chiaro se porterà avanti l’incarico per tutto il settennato; più probabile che rimanga in sella per un annetto (o anche meno); giusto il tempo di varare un governo stabile e di aver messo il proprio placet sulle tanto agognate riforme (su tutte una legge elettorale che garantisca stabilità all’esecutivo di domani). Forse a quel punto potrebbe anche lasciare il testimone a qualcun altro; convinto che, se dovesse riuscire nell’impresa di ricompattare le nostre istituzioni riavvicinando la gente alla politica, da tutti verrebbe ricordato non più solamente come Re Giorgio ma come Napolitano l’Imperatore, il condottiero capace di unire l’Italia per l’ennesima volta.

Marcello Gelardini

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