Quando gli chiediamo se si sente la nuova frontiera del rap italiano, fa il modesto. «Mi piacerebbe che esistessero anche delle vie di mezzo tra il rap e il cantautorato». Gianluca Picariello è un artista diverso, a cominciare dallo pseudonimo, Ghemon, come il personaggio di Lupin III. Sabato al Monk di Roma ci sarà la sesta data del suo “Mezzanotte tour”, che si preannuncia sold out. Un periodo d’oro, dopo il grande successo del suo nuovo disco Mezzanotte.
Mezzanotte, come l’album precedente, Orchidee, parla di una storia d’amore finita male. Ma in una chiave più intima. Cosa è cambiato?
«Il nuovo lavoro è un nipote di Orchidee. Sono due dischi molto personali, dove ho raccontato molto di me. Questo è l’opera di una persona diversa, più matura, che tira le somme su tanti aspetti della sua vita. Mezzanotte però ha sfumature più scure rispetto a Orchidee, che aveva tutta un’altra luce. Tratto di argomenti più rabbiosi, come il sesso, la rabbia, la tristezza e la voglia di rialzarsi».
Tra i temi più “oscuri” c’è quello della depressione. Come si esce da un periodo buio?
«Bella domanda (ride, ndr). L’importante è informarsi il più possibile sulla malattia, e non restare fermi. La depressione ti fa sedere, ti blocca. Un modo per uscirne è buttarsi nel lavoro, e per fortuna la musica ti permette di analizzare e scrivere quello che stai vivendo. È un po’ come andare dallo psicologo».
In cosa si sente cambiato?
«Sono più cosciente delle mie emozioni. Se prima mettevo nei miei testi parti di fragilità con la paura di essere giudicato e ritenuto debole, averlo fatto in questo lavoro mi ha fatto sentire più forte. È come esporre una ferita grossa nella mia anima, e ci vuole coraggio».
Sembra che nel disco ogni parola sia al posto giusto nel momento giusto. È il segno di un equilibro raggiunto?
«Ci ho lavorato tanto, e a volte molto più di pancia che di cervello. Alcune cose erano dentro di me da tanto tempo e anche se le ho scritte d’istinto, erano i termini corretti perché nella mia mente tutto era già chiaro».
Nella sua opera ci sono molte influenze di altri generi come il funky, il jazz e il soul. Aveva voglia di sperimentare?
«Volevo ritagliarmi uno spazio tutto mio, rifiutavo l’idea di essere etichettato solo come rapper. Il mix tra i generi è qualcosa che porto avanti da molto tempo. Ora forse sono anche più cantautore, e le influenze funky mi hanno permesso di coniugare al meglio tutti i vari stili».