Siamo a Francoforte sul Meno, Germania, di fronte a una pizzeria che porta un nome importante sull’insegna. Si chiama “Falcone e Borsellino” ed è accompagnata da una foto diventata un pezzo di storia per il nostro Paese e non solo. La foto scattata da Tony Gentile che ritrae i due giudici insieme, sorridenti. Ma se l’osservatore sposta lo sguardo, accanto a quell’immagine ne troverà un’altra che raffigura don Vito Corleone, un personaggio diametralmente opposto preso dal celebre film Il Padrino. A decorazione dei muri della struttura, una serie di buchi a simboleggiare fori di proiettili.
È questa violazione della memoria dei due magistrati antimafia ad aver spinto Maria Falcone, la sorella di Giovanni, a fare ricorso contro il proprietario del locale Constantin Ulbirich e a chiedere al Tribunale tedesco di inibirgli l’utilizzo del nome Falcone nell’intestazione della pizzeria.
Ieri il ricorso è stato respinto. La motivazione è stata la mancata operatività del giudice Falcone in Germania che lo renderebbe noto nell’ambiente tedesco solo a una “cerchia ristretta di addetti ai lavori e non alla gente comune che frequenta la pizzeria”. I 30 anni trascorsi dalla morte del magistrato, inoltre, avrebbero reso meno sensibile la comunità al tema della lotta alla mafia.
Una sentenza che addolora. Inutili i documenti prodotti dalla Fondazione Falcone e dalla sorella del magistrato a conferma della rilevanza internazionale e del coinvolgimento che la Germania ha avuto nel lavoro del giudice palermitano.
Una sentenza che arriva proprio quando il valore dell’ereditarietà umana e professionale di Falcone viene riconosciuta a livello mondiale. Sono stati 190 i Paese che al termine della Conferenza delle Parti sulla Convenzione Onu contro la criminalità transnazionale, riunitasi a Vienna, hanno confermato all’unanimità il contributo che lui ha dato alla lotta al crimine organizzato internazionale.
Presto il ricorso in appello di Maria Falcone.