Un luminoso esempio di uguaglianza di fronte alla legge, una furbata pre-elettorale o la prova della forza grillina: si presta a diverse letture – a seconda di come lo si guardi – il sì della Camera all’arresto di Francantonio Genovese, deputato Pd eletto con 20mila preferenze ed ex sindaco di Messina sotto inchiesta per una discreta serie di reati, fra cui truffa aggravata ai danni della Regione, associazione a deliquere e frode fiscale. Ieri, alla fine di un pomeriggio dall’esito scontato, una maggioranza bulgara ha stabilito che non c’era fumus persecutionis nella richiesta di arresto avanzata della procura di Messina. Contrari soltanto Forza Italia e Nuovo Centro Destra, fedeli alla linea garantista, e pochissimi deputati Pd.
Calcoli elettorali. L’accelerata alla votazione è stata impressa dal premier Matteo Renzi, stretto fra due fuochi: da un lato il danno d’immagine di un deputato democrat finito in galera in piena campagna elettorale, dall’altro le accuse del M5S di voler salvare le penne al proprio uomo e di temporeggiare soltanto in vista delle Europee. Dei due mali, Renzi ha scelto il minore. Voto immediato, dunque, per sottrarre argomenti alla polemica grillina, e palese, forse per evitare, oltre ai franchi tiratori, anche un’eventuale trappola del M5S, cioè che i deputati pentastellati votassero in segreto contro l’arresto e facessero poi ricadere la colpa sul Pd. Così, mentre secondo i democratici la giornata di ieri ha dato un segnale forte della trasparenza del partito, i grillini rivendicano il merito di aver fatto pressione sul premier per mandare in carcere un deputato accusato di corruzione.
In principio fu Moranino. Non si può certo dire che storicamente il Parlamento si sia dimostrato particolarmente propenso a consegnare alla giustizia i suoi membri. Con il caso Genovese, infatti, sale a sette il numero dei parlamentari per cui Camera o Senato hanno votato l’autorizzazione all’arresto. Il primo fu Francesco Moranino, deputato Pci ed ex partigiano accusato nel 1955 per un episodio avvenuto durante la guerra, l’omicidio di cinque partigiani e delle mogli di due di loro, scambiati per spie naziste. Fuggito in Cecoslovacchia, Moranino ottenne poi la grazia dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Nel 1976 scappò – stavolta in Sudamerica – anche Sandro Saccucci, Movimento Sociale, accusato di aver ucciso un ragazzo durante gli scontri che scoppiarono a un suo comizio a Sezze Romano. Parigi fu invece la meta della fuga di Toni Negri, eletto con i Radicali durante un periodo di carcerazione preventiva per terrorismo e per cui la Camera votò l’arresto dopo soli tre mesi dall’ingresso in Parlamento, nel settembre 1983 (Negrì tornò in Italia nel 1997 per finire di scontare la pena). Nel 1984 fu la volta di Massimo Abatangelo, altro deputato missino, accusato e condannato per detenzione illegale di materiale esplosivo. Nella seconda Repubblica le manette sono scattate nel 2011 e nel 2012, rispettivamente per il deputato Pdl Alfonso Papa, magistrato coinvolto nello scandalo P4, e per il senatore Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita accusato di aver sottratto 23 milioni di euro dalle casse del partito.
Anna Bigano