Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte Costituzionale e ministro di Grazia e giustizia nel primo governo Prodi, ha chiarito a LumsaNews alcuni aspetti legati alla recente bocciatura, da parte della Consulta, del quesito referendario sul fine vita.
Alcune associazioni sostengono che la Corte, con la sentenza dei giorni scorsi, non abbia tenuto conto della sofferenza. É di questo avviso?
“No, perché la Corte, quando ha potuto, ne ha tenuto conto. Nell’esaminare il tema dell’aiuto al suicidio ha spiegato che quell’aiuto non è punibile in alcune situazioni di sofferenza che richiamavano alla legge precedente sulla disposizione di fine vita. In questo caso, la richiesta era formulata in modo tale da richiedere alla Corte una pronuncia sull’ammissibilità di qualsiasi ipotesi di omicidio del consenziente.”
La sentenza n. 242 del 2019 ha fatto giurisprudenza. Ci si potrebbe fermare lì o è necessaria una legge?
“La sentenza 242 non ha solo fatto giurisprudenza, ha introdotto nell’ordinamento una legge vera e propria, cioè una modifica legislativa. Nel senso che la Corte ha riconosciuto la non incostituzionalità di un divieto generale di aiuto al suicidio. Ha stabilito anche che non è punibile l’aiuto al suicidio in condizioni di infermità irreversibile, di sofferenza intollerabile, di necessità di presidi sanitari per continuare a vivere e, naturalmente, di capacità di decidere dell’interessato. Questo discorso è importante perché si raccorda con il silenzio del Parlamento.”
Lei è stato l’unico a correlare il quesito del referendum con alcune sfide su Tik Tok, ce ne parla?
“Ci sono casi in cui si mette la morte come prevedibile conseguenza di un comportamento. Pensi ai ragazzi che si sfidano su chi riesce a camminare sui binari per più tempo, mentre sta arrivando il treno, o a trattenere il respiro più a lungo. Io credo che una liberalizzazione totale dell’omicidio del consenziente non consentirebbe più, in casi di questo tipo, un intervento necessario dal punto di vista penale.”
Che riflesso avrà la sentenza della Corte sul dibattito etico e politico del Paese?
“Credo che la decisione della Consulta vada vista come un richiamo alla necessità che ciascuno faccia il proprio mestiere assumendosene le responsabilità. La liberalizzazione totale dell’omicidio del consenziente è un fatto che può avvenire solo con una scelta del legislatore. Diciamo che la decisione della Corte può arricchire un dibattito cercando di ridurre o di eliminare quella contrapposizione ideologica, quello scontro permanente in cui da un lato c’è chi dice che la libertà è assoluta e dall’altro chi dice che la vita è sacra. Noi siamo una società democratica e pluralista in cui le diversità di opinione sono la fonte dell’identità personale. Altrimenti saremmo tutti uguali. La Corte, in questa sentenza, mi sembra che sottolinei la necessità che il discorso avvenga in una sede legislativa, che è quella competente per emanare le leggi, e che in quella sede si discuta non solo di economia o di politica in senso stretto, ma anche di valori fondamentali. Non è compito della Corte dare indicazioni di carattere morale, il compito della Corte è interpretare le leggi alla luce dei principi costituzionali fondamentali.”
In un’intervista su “Avvenire” ha affermato di riconoscersi nelle posizioni del Santo Padre…
“Io sono cattolico ma sono anche membro di una società laica, non laicista, nella quale la diversità delle opinioni è fondamentale. Quindi ritengo che l’assetto ordinamentale non possa imporre una certa concezione legata a motivazioni strettamente religiose ma debba imporre il rispetto del principio di solidarietà accanto al rispetto del principio di libertà. In questo senso vedo come estremamente interessante l’apertura del Santo Padre a un discorso di rispetto dell’altro, cercare ciò che unisce e non ciò che divide. Invece, le posizioni contrapposte di integralismo e di intolleranza di chi è per il sì e di chi è per il no sembrano cercare molto più ciò che divide.”
In questo momento, in effetti, l’Italia sembra divisa
“Pensi al paradosso di una situazione in cui sia chi accetta, sia chi rifiuta la possibilità di intervenire sul fine vita, persegue lo stesso obiettivo: non facciamo una legge per fini esattamente opposti. Tutte e due ce l’hanno con la legge, i primi perché dicono che è troppo stretta, i secondi perché dicono che è troppo larga. La sovranità del Parlamento è fondamentale per trovare un punto di equilibrio tra le due posizioni. Come i due porcospini di Schopenhauer, bisogna trovare la giusta distanza tra lo scaldarsi e il non pungersi. É questo il discorso per cui la mediazione è fondamentale. Se, invece, la valutazione politica porta a considerare il problema come un’arma da brandire contro un avversario, allora la questione si complica notevolmente.”