Laura Palazzani, professore ordinario di Filosofia del Diritto alla Lumsa e vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica, spiega a LumsaNews la posizione dell’organo ausiliare della Presidenza del Consiglio in materia di fine vita.
Professoressa, qual è la situazione dal punto di vista normativo e non per quanto riguarda la questione del fine vita e del suicidio assistito?
«Sul piano normativo è stata approvata la legge 219 che regola il consenso informato, il rifiuto e la rinuncia ai trattamenti sanitari. È possibile, però, anche rinunciare a trattamenti sanitari già iniziati, come nel caso della alimentazione artificiale o la ventilazione meccanica: la rinuncia comporta l’intervento di un medico per togliere il presidio tecnologico e accompagnare la persona verso la morte, quello che in bioetica si definisce “lasciare morire” mediante sedazione palliativa profonda. La legge prevede anche le cosiddette disposizioni anticipate di trattamento: un soggetto maggiorenne, in grado di intendere e di volere, può scrivere in un documento le sue volontà rispetto a quali trattamenti accetta e quali no in una condizione futura in cui potrebbe perdere la coscienza. Non è invece regolato la fattispecie di cui si discute ora: il suicidio assistito».
Che differenza c’è tra eutanasia e suicidio assistito?
«Il suicidio assistito implica una auto-somministrazione da parte del paziente di un farmaco letale che viene predisposto dal medico, quindi è un suicidio a tutti gli effetti ma “aiutato” perché è il paziente che deve assumere il farmaco. L’eutanasia, invece, è la somministrazione attiva del farmaco letale da parte del medico. Nonostante la distinzione, ci sono delle analogie dal punto di vista morale».
E’ davvero arrivato il momento di colmare il vuoto normativo sul fine vita? Perché?
«Francamente io non ritengo che fosse necessario colmare questo vuoto normativo, perché prima dell’ordinanza e della sentenza della Consulta non c’era di fatto il vuoto. Prima di allora, infatti, il codice penale proibiva (e proibisce ancora) l’aiuto al suicidio e, dal mio punto di vista, il suicidio assistito è illecito moralmente e non dovrebbe essere legittimato giuridicamente. Quindi con l’ordinanza e la sentenza, la Consulta ha fissato dei paletti e ha chiesto al legislatore di intervenire entro un contesto normativo che definisce in questo modo, disegnato dunque sul caso Cappato-dj Fabo».
Ci può raccontare cosa ha portato il Comitato nazionale di bioetica a essere diviso al suo interno? Quali sono le motivazioni che hanno mosso lei e i suoi colleghi nel dare di fatto tre visioni diverse sulla questione?
«Il Comitato ha il compito di svolgere consulenza nell’ambito della legiferazione sui temi della bioetica. Al suo interno ci sono persone con convinzioni diverse e quindi era inevitabile ci fossero opinioni divergenti, anche perché l’argomento è piuttosto delicato. Abbiamo scritto un documento che in gran parte ci trova d’accordo su alcune criticità che abbiamo rivelato nell’ordinanza della Consulta e su alcune distinzioni terminologiche di categorie etiche nella definizione di suicidio assistito. Nelle raccomandazioni finali ci siamo poi divisi. Chi, come me, è contro il suicidio assistito, si è basato sulla non disponibilità del fine vita, sulla necessità di implementazione delle cure palliative, che oggi non sono garantite a tutti. Abbiamo la legge n. 38/2010 che le regola, ma ancora oggi abbiamo una disomogeneità nell’applicazione. Siamo stati anche fortemente convinti dell’argomento del pendio scivoloso: la legittimazione del suicidio assistito porterà inevitabilmente a legittimare anche l’eutanasia. Dall’altra parte, chi è favorevole ritiene che sia governabile stabilendo dei limiti e apre anche alla possibilità del suicidio assistito senza trattamenti di sostegno vitale e ritiene che il bene vita possa essere oggetto di disposizione in determinate circostanze in cui il paziente considera la sua vita non dignitosa. La terza posizione è di chi, sul piano etico, non ritiene assolutamente illecito il suicidio assistito e quindi apre a questo, ma ritiene che giuridicamente sia prudente una legislazione proibitiva dello stesso».
Qual è il disegno di legge che si sposa meglio con le vostre posizioni e cosa potrebbe cambiare?
«I disegni di legge che sono stati presentati prima della sentenza della Corte costituzionale dovranno essere rivisti alla luce dei paletti che sono stati scolpiti dalla Consulta. Un problema centrale nella nostra società, sottolineato anche da tutti i mass media, è il cambiamento inevitabile del ruolo del medico. La Federazione nazionale dell’Ordine dei medici, con il presidente Filippo Anelli, che è membro di diritto del Comitato nazionale di bioetica, ha pronunciato le sue posizioni sul suicidio assistito: secondo l’ordine, il medico ha un dovere deontologico, come definito dal codice o, ad esempio, dall’Organizzazione mondiale della sanità, il suo compito è quello di curare e assistere il malato, non di dargli la morte. Quindi, se il medico darà la morte, cambierà radicalmente il suo ruolo e la sua figura. Si è pronunciato anche a favore di una persona terza che possa dare la morte, ma anche qui ci sarà da dibattere. La sentenza fa riferimento a Comitati etici territoriali che dovranno valutare i casi del suicidio assistito e penso che sarà un punto su cui bisogna vedere cosa dice la Corte, perché al momento comitati etici territoriali in grado e che abbiano una competenza nel valutare i casi del suicidio assistito non ce ne sono. Bisogna lavorare a una legge che li istituisca, quindi è un momento di forte cambiamento».