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Il film su Fabrizio De André
fa il pieno di ascolti in tv
e di polemiche sui social

La fiction batte "l'Isola dei famosi"

ma critiche sull'accento romano di Faber

di Simone Alliva15 Febbraio 2018
15 Febbraio 2018

L'attore Luca Marinelli posa per i fotografi in occasione del photocall organizzato a margine della presentazione alla stampa del film: "Fabrizio De Andre', principe libero" in programmazione nella sale il prossimo 23 e 24 Gennaio, Milano 19 Gennaio 2018. ANSA / MATTEO BAZZI

“I pareri sono come il buco del culo, ognuno ne ha uno”.  È il cantautore genovese Federico Sirianni a citare Tom Waits in uno stato su Facebook a proposito della fiction su Fabrizio De Andrè andata in onda su Rai1. A lui, la fiction, è piaciuta.

Eppure Fabrizio De André – Principe libero, il film che racconta quarant’anni di vita del cantautore genovese, ha diviso il pubblico. Un successo di ascolti ma con forti critiche. Dopo essere stato per due giorni in sala, il film di Luca Facchini è stato programmato in due serate su Rai1 (ottenendo il 24.3% di share, 6.178.000 spettatori) battendo su Canale 5 la quarta puntata de L’Isola dei Famosi, che ha raccolto davanti al video 3.807.000 spettatori pari al 21.6% di share. Il ruolo di Faber è interpretato da Luca Marinelli, che aveva raccontato in occasione dell’uscita in sala: “Non l’ho imitato, ho cercato il mio Faber”. E forse è proprio questo che non ha convinto il pubblico. Marinelli non è l’unico che fatica a tenere a bada la cadenza romanesca; succede anche a Ennio Fantastichini nei panni del padre di De André, così come ai sequestratori sardi. Eppure intorno a Genova si è mossa tutta la vita politica e intellettuale di De Andrè: mentre parlava di manicomi aveva in mente quello di Quarto, nelle sue canzoni sulle carceri pensava a quello di Marassi, cantava di cimiteri e si riferiva a quello di Staglieno.

Rifletteva con Cesare G. Romana nell’ottobre del 1990, all’Agnata: «Genova. Che cosa significa per me? Ho avuto la fortuna di nascere in questa etnia, in questo piccolo mondo dove si parla una lingua diversa, che faceva parte di uno stato molto più grande ma con un idioma, una cucina, una cultura autonomi. Questo ti fa sentire così vicino alle persone che condividono la tua diversità, ti senti a tua volta differente dal resto del mondo, sei membro di una grande famiglia di settecentomila persone che ha usi e costumi tutti suoi”.

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