In tempi di guerra può capitare che la psicosi del nemico si insinui anche nelle prime pagine dei quotidiani, sguinzagliando un effetto a catena che infiamma la stampa sollevando polemiche e barricate inneggianti al sospetto e al complottismo. A motivo di ciò può succedere di vedere giganteggiare, in barba alla notizia dell’esecuzione choc dell’escursionista francese ad opera dell’Isis, il titolo “Il Corriere decapita Renzi”, allusione con la quale il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti, ammicca al casus belli sollevato ieri dal collega del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli.
Sulla prima pagina, fresca di restilyng, del quotidiano meneghino di ieri, l’editoriale del direttore De Bortoli, essenziale e feroce, contro il premier Matteo Renzi, non è certo passato inosservato tanto al direttore del Giornale quanto ai corridoi del Parlamento. Aprendo il suo commento con un “Renzi non mi convince”, De Bortoli punta il dito contro la “personalità egocentrica e ipertrofica” del premier, una sorta di “giovin signore”, un bell’Antonio della parola, al cospetto di uno specchio, con la sua camicia bianca, l’essenza “di massoneria” al posto dell’acqua di colonia e una nociva “cosmesi” che cola dal suo modo di fare politica. “L’oratoria del premier è straordinaria – tuona il direttore del Corriere – nondimeno il fascino che emana stinge facilmente nel fastidio se la comunicazione, pur brillante, è fine a se stessa. Il marketing della politica se è sostanza è utile, se è solo cosmesi è dannoso”. Insomma l’editoriale del buon De Bortoli tuonerebbe come una sorta di affilata invettiva contro il premier, ridotto a una specie di Lisia mancato, di Cicerone imbrigliato in una retorica vacua, Cesare di una squadra “di una debolezza disarmante”, composta da ministri scelti per non fargli ombra. “Un corteo di controfigure che assurgono a simbolo di un “partito personale simile a quello del suo antico rivale, l’ex cavaliere” dice De Bortoli, consigliando al premier di “guardarsi dal più temibile dei suoi nemici, se stesso”.
Il polverone sollevato dall’editoriale ha stuzzicato l’inchiostro ideologico di politici e giornalisti, per sfilacciarsi raggiungendo, oltreoceano, lo stesso Matteo Renzi, alle prese con la tanto discussa trasferta newyorkese.
“È inevitabile che la stroncatura del direttore venga attribuita anche al mondo che il Corriere rappresenta e che De Bortoli frequenta – scrive Alessandro Sallusti -. Si tratta di poche centinaia di persone che predicano la democrazia ma schifano il consenso popolare e pretendono di decidere le sorti del Paese nei loro ristretti consessi. Di chi è riuscito, usando il Corriere della Sera (e la Repubblica) come arma impropria prima a far cadere Silvio Berlusconi e poi a sospendere la democrazia insediando a Palazzo Chigi senza elezioni Monti e poi Letta”.
C’è poi chi attribuisce la sfuriata di De Bortoli, ad una sorta di nevrotica reazione alla decisione presa dagli azionisti del Corriere della Sera di licenziare il direttore, a partire dal prossimo aprile, e chi legge nell’editoriale una mossa fatta per accontentare la maggioranza antirenziana della redazione.
E nel calderone di indiscrezioni, sospetti e dubbie interpretazioni, qualcuno si cimenta nell’esegesi dell’ultimo paragrafo in cui De Bortoli mette da parte la penna e diventa indovino: “Il Patto del Nazareno finirà per eleggere anche il nuovo presidente della Repubblica, forse a inizio 2015”.
Nelle aree più vicine al Pd c’è chi intravede, invece, dietro De Bortoli, il duo composto da Giovanni Bazoli (altro azionista del Corsera) e Romano Prodi. “Il professore avrebbe capito – scrive l’Huffington Post – che il proprio nome non è contemplato dal Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi per l’elezione del prossimo inquilino del Colle”. Ipotesi cui segue, secca, la risposta dall’ufficio stampa di Prodi: “Si cade in un grave errore se si ritiene che Prodi possa influenzare l’editoriale del Corriere della Sera”.
L’affondo di De Bortoli, secondo il presidente dell’assemblea del Pd, Matteo Orfini, simboleggia “un’ascia di guerra delle corporazioni minacciate dalla politica renziana”, accusa dalla quale il direttore si difende rincarando: “Con la personalizzazione della politica non si dà avvenire ai partiti, si tende a fagocitare lo stesso partito, che non sopravvive al suo leader”.
A difendere il premier Renzi ci pensa l’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, azionista della maggioranza relativa del Corsera: “Renzi a me piace, ha coraggio. Parla di futuro per la prima volta, ha un’impresa, compiti enormi. Lo si lasci lavorare per il bene dell’Italia” sottolinea Marchionne.
E mentre il premier liquida l’editoriale di De Bortoli, con un lapidario ed elusivo “Auguri e in bocca al lupo al Corriere per la nuova grafica”, il direttore, assiste, solitario, al frantumarsi del suo specchio, i cui pezzi avrebbero, forse, voluto rappresentare la metafora del Paese e di un partito che non navigano certo in buone acque. Scaramantici o no.
Samantha De Martin