VENEZIA – È stato condannato all’ergastolo Filippo Turetta, responsabile del femminicidio di Giulia Cecchettin. La sentenza della Corte d’assise di Venezia è stata letta dal presidente del Collegio Stefano Manduzio. Il 23enne reo confesso ha ucciso l’ex fidanzata l’11 novembre 2023.
Il collegio ha escluso le aggravanti della crudeltà e del reato di minacce, previsto dall’articolo 612 bis del codice penale, unificati dal vincolo della continuazione. Oltre alle interdizioni di legge, è stato disposto un risarcimento alle parti civili con il pagamento di una provvisionale di 500mila a Gino Cecchettin, 100mila ciascuno ai fratelli Elena e Davide, 30mila ciascuno alla nonna Carla Gatto e allo zio Alessio, oltre alle spese di costituzione legale. Le motivazioni verranno depositate entro 90 giorni.
“La mia sensazione è che abbiamo perso tutti come società”, è stato il primo commento di Gino Cecchettin. “Non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri o domani. È una sensazione strana, pensavo di rimanere impassibile”. “È stata fatta giustizia – ha aggiunto – la rispetto, ma dovremmo fare di più come esseri umani. La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, con concetti forse un po’ troppo lontani. Come essere umano mi sento sconfitto”.
Testa bassa, e occhi chiusi, senza alcuna reazione apparente. Turetta ha ascoltato la lettura della sentenza a testa bassa e occhi chiusi. Impassibile, concentrato sul banco della giuria, Gino Cecchettin, che non ha distolto mai lo sguardo mentre il presidente del collegio Stefano Manduzio leggeva il verdetto.
Da registrare l’intervento sui social di Matteo Salvini, prima reazione politica in ordine di tempo. “Giusto così. Ora sarebbe corretto obbligarlo anche a lavorare duramente, in carcere, per evitare che la sua permanenza in galera sia completamente a carico degli italiani”.
L’udienza del 3 dicembre, la quinta di tutto il processo, prevedeva inizialmente le repliche del pubblico ministero, delle parti civili e della difesa, seguite da eventuali controrepliche. Ma queste non hanno avuto luogo. Oltre a Filippo Turetta, presente in aula anche Gino Cecchettin, padre della vittima, che prima dell’inizio dei lavori ha avuto un breve incontro con l’avvocato difensore di Turetta, Giovanni Caruso, a seguito delle polemiche suscitate dall’arringa di quest’ultimo durante la fase dibattimentale: “Mi ha fatto molto piacere potermi chiarire”, ha commentato Caruso, l’unico tra i due a rilasciare una dichiarazione.
Al centro del dibattito l’ergastolo chiesto dal pubblico ministero Andrea Petroni. Durante la requisitoria, Petroni ha ricordato che in Italia l’ergastolo non è una pena perpetua ”di fatto”, vista la possibilità di benefici come la semilibertà o la libertà condizionale. Tuttavia, l’accusa sottolinea la premeditazione e la crudeltà dell’omicidio, evidenziando una lista preparatoria scritta da Turetta il 7 novembre 2023, con dettagli su come uccidere Giulia: coltelli, sacchi neri, corda, scotch, e persino un calzino umido per soffocare le grida. Per l’accusa, questi elementi dimostrano che Turetta aveva tutte le capacità di tirarsi indietro ma scelse deliberatamente di portare a termine il crimine.
La difesa, invece, ha puntato sulle attenuanti generiche, tentando di smontare le aggravanti. Secondo Caruso, la premeditazione sarebbe prova di indecisione, mentre la crudeltà sarebbe riconducibile a un “corto circuito emotivo”. Per quanto riguarda lo stalking, la difesa ha sostenuto che Giulia non avesse paura di Filippo, accettando persino di uscire con lui la sera dell’omicidio.