È rientrato ieri mattina a Ciampino il cooperante italo-svizzero Federico Motka, rapito in Siria il 12 marzo dell’anno scorso e liberato lunedì mattina nei pressi del confine turco. Il rilascio era stato annunciato da un tweet del premier Matteo Renzi
Sulla dinamica del sequestro sono ancora poche le informazioni. Noti, invece, i responsabili del rapimento: Motka è stato sequestrato dal gruppo qaedista dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante) ad Atmeh, uno dei campi profughi della diaspora siriana obbligata dal regime di Assad, nella regione nord-occidentale di Idlib. Qui, Motka operava come coordinatore degli interventi umanitari per conto dell’Ong francese Acted. In precedenza, aveva già operato in altri teatri bellici ad alto rischio, come l’Afghanistan. Appena rilasciato, è stato accolto dai militari dell’esercito turco, che l’hanno sottoposto ai primi controlli medici in un ospedale di Sanliurfa, provincia sudorientale turca. «Mi hanno torturato e trasferito per sei volte», questo ha raccontato il 31enne all’agenzia turca Anadolu, poche ore dopo aver riguadagnato la libertà.
Stamattina è stato sentito dal pm Elisabetta Ceniccola della Procura di Roma, che procederà per il reato di sequestro di persona con finalità di terrorismo. «È stata una gioia poterlo accogliere, grazie al lavoro di tanti che si sono impegnati per arrivare a questo risultato», ha dichiarato il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, sottolineando come «non sempre il silenzio è segno di assenza di lavoro, anzi come dimostra il caso di Federico si lavora sempre, si lavora comunque».
Con il rientro in patria di Motka, l’unico italiano ancora sotto sequestro in Siria, e di cui non si hanno notizie certe, rimane il gesuita Paolo Dall’Oglio, fatto prigioniero da miliziani qaedisti nel nord della Siria lo scorso 29 luglio. Ieri l’ennesimo annuncio non confermato sulla sua presunta uccisione, seguita dalla smentita di attivisti locali secondo i quali il prigioniero è ancora vivo. La Farnesina non ha confermato e l’Osservatorio siriano per i diritti umani ha affermato che «non ci sono indizi concreti sulla morte del religioso».
Renato Paone