Sono scappati dalla guerra e hanno percorso migliaia di chilometri dalla Siria per trovare una cura al tumore di lei, ma ora sono fermi ad Acilia. Il viaggio di Fady e Aya non è ancora finito.
Arrivati all’aeroporto di Fiumicino lo scorso ottobre, erano stati fermati subito: Aya aveva un passaporto falso, perché nonostante il condrosarcoma al calcagno sinistro non era riuscita ad avere il visto per cure mediche; Fady, innamoratissimo di lei, rinuncia alla condizione di rifugiato in Svezia pur di starle accanto nel viaggio, ma viene accusato di traffico di esseri umani e rinchiuso nel carcere di Civitavecchia. “Ho provato a spiegare che Aya era mia moglie”, dice Fady, “ma il certificato di matrimonio era in arabo e non ci hanno creduto. Ho provato a dire loro che si trattava di una donna malata, ma non è servito”.
Per Aya, invece, viene ordinato il rimpatrio e così è costretta a salire sul primo volo per Istanbul. Prima di partire, riesce a lasciare un biglietto con il numero di telefono della sorella che vive in Germania a un algerino in attesa di essere respinto. È così che evita il rimpatrio definitivo in Siria e si rifugia in Libano. Riesce incredibilmente a rientrare in Italia un mese dopo, con un permesso per cure mediche, grazie all’intervento decisivo del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, allertato da una rete di attivisti e dalla giornalista dell’Ansa Marinella Fiaschi. All’ospedale San Camillo si scoprirà anche che le masse nel calcagno di Aya non sono tumorali, per ora.
Ma la coppia di innamorati è ancora ferma in Italia: Fady perde momentaneamente il suo indennizzo da rifugiato riconosciutogli in Svezia e viene condannato a un anno e mezzo di carcere, anche se è libero con la condizionale; Aya è libera dalla malattia, ma costretta a rimanere in Italia. La Svezia per ora rimane un sogno, Acilia per loro la cruda realtà.
Nicola Stacchietti