Fabio Padovano è un economista e professore ordinario dell’Università di Roma Tre. Nel corso dell’intervista per Lumsanews, ha descritto quali sono i riflessi, dal punto di vista del mercato del lavoro, dell’istituzione di un salario minimo per legge. Inoltre, ha delineato il rapporto che questa legge dovrebbe avere con il reddito di cittadinanza.
Quali sono i pregi dell’introduzione del salario minimo in Italia? E quali i difetti?
“Il vantaggio principale è contrastare quel fenomeno che si è sviluppato e diffuso nel nostro Paese dei cosiddetti “working poor”, ovvero di quelle persone che hanno salari molto bassi, presumibilmente perché si trovano in una situazione in cui il datore di lavoro ha un potere contrattuale molto maggiore rispetto a quello del lavoratore stesso. Il premio Nobel David Card nel paper del ’94 studiò l’esperimento naturale fatto nel New Jersey, dove un incremento del salario minimo non ha ridotto l’occupazione, semmai l’aumentava. Questo è possibile che avvenga se ci sono situazioni di salari bassi, se c’è quel fenomeno di working poor, come l’Italia. È possibile che l’introduzione di un salario minimo per via legislativa renda più conveniente lavorare per persone che non cercano lavoro in quanto scoraggiati, pur potendo lavorare. Il salario minimo quindi potrebbe funzionare in Italia, ma ci sono alcune questioni da tenere presente”.
Quali sono?
“La prima è che il nostro Paese è caratterizzato da livelli di produttività molto diversi: un conto è parlare del mercato del lavoro del Sud, un altro è quello del Nord. Il salario minimo andrebbe quindi parametrato sulla mediana delle retribuzioni delle regioni del Sud per consentire alle altre regioni di riparametrare il proprio salario minimo sulla base di questo benchmark. Inoltre noi abbiamo inserito, di recente, un provvedimento, il reddito di cittadinanza, il cui livello è molto vicino al valore mediano delle retribuzioni dei lavoratori nel Sud d’Italia. Questo ha un effetto di scoraggiamento. Il reddito di cittadinanza è una misura di assistenza, di lotta alla povertà, ma che va a cogliere le persone che non lavorano. Il salario minimo dovrebbe, invece, aiutare ad aumentare il livello non solo di reddito, ma anche di produttività delle persone che già lavorano. Quindi una legge che introduce il salario minimo non può esimersi da riformare in maniera profonda la legge sul reddito di cittadinanza e sulla sua applicazione”.
In che senso?
“Il salario minimo serve ad aumentare il livello di produttività dei lavoratori che hanno un reddito più basso. Ma se noi abbiamo un reddito di cittadinanza così elevato conviene non lavorare. Quindi sono due strumenti opposti, eppure potrebbero coesistere. Il reddito di cittadinanza dovrebbe dare alle persone che non hanno un lavoro il tempo di trovarne uno. Noi abbiamo visto il modo in cui è stato applicato il reddito di cittadinanza nel sud d’Italia, e non ha assolutamente favorito l’inserimento di queste persone nel mercato del lavoro, è stato un ulteriore sussidio per persone che principalmente operano nel mercato nero. Poi è difficile dire se principalmente o soltanto, ma c’è un’evidenza davvero eccessiva di fenomeni di questo genere. Tuttavia, sul come fare questa legge vedo altri problemi”.
Che problemi?
“La stessa cifra, 9 euro, secondo me è tanto. Ma, qualunque sia la cifra, questo salario minimo è lordo? Quante mensilità? Si applica anche al Tfr? Sono tutte cose oggetto di contrattazione. Inoltre, Confindustria si è espressa contro il salario minimo, perché renderebbe meno cogente la contrattazione collettiva. E anche i sindacati non sono molto favorevoli. Per avere un salario minimo che sia esteso alla fascia più ampia di lavoratori, dovrebbe essere contrattato per settori produttivi e per diverse aree geografiche, dovremmo avere un meccanismo di contrattazione capillare e sufficientemente esteso. Ci sono ampi settori industriali che si sottraggono alla contrattazione collettiva. Ma l’altro problema è che il salario minimo dovrebbe andare ai lavoratori, che hanno negoziato tramite i sindacati. Quante persone sono rappresentate dai sindacati? Questo è un problema che in Italia si trascina da tanto tempo. C’è una norma costituzionale che dice che bisogna rendere esplicita la rappresentanza sindacale, ma i sindacati non hanno mai voluta farla applicare”.
Lei condivide le tesi di David Card? Con l’introduzione del salario minimo quali saranno gli effetti dal punto di vista delle imprese?
“Il lavoro di David Card è empirico: date le condizioni riscontrate sul campo, molte delle quali si potrebbero trovare anche in Italia, è possibile che il salario minimo produca una maggiore convenienza a lavorare e quindi una sostituzione di lavoratori scoraggiati con lavoratori attivi e il relativo incremento del tasso di occupazione. Questo è possibile, come è anche possibile che ci sia un flusso di lavoratori dal mercato nero al lavoro emerso. Però non è detto che succeda. È possibile che in presenza di frammentazione delle sigle sindacali, di una scarsa rappresentatività delle organizzazioni associative del mondo industriale, molte imprese aggirino la legge. Oppure potrebbe esserci una riduzione della domanda di lavoro o, in presenza di restrizioni di mercato del credito o di manager poco illuminati, le imprese potrebbero non cogliere la sfida tecnologica che un salario minimo comporta, emigrando dove il salario minimo non esiste. È un rischio grosso, ma restare immobili non giova a molto”.
Si possono individuare delle tendenze in quei Paesi dove è stata applicata una norma di questo tipo?
“Gli effetti sono prodotti non tanto da aspetti macroscopici che vengono identificati in una teoria e che si riesce a far comprendere in un discorso all’opinione pubblica, ma piuttosto in fattori di dettaglio. Parlare di similitudini con altri Paesi europei è fuorviante, perché stiamo parlando di un fenomeno sensibile a tanti aspetti di dettaglio, e quindi fare confronti non è possibile”.
Quindi quali sono le condizioni per ottenere un aumento del tasso di occupazione?
“Avere una legge sulla rappresentanza sindacale; non pensare solo al salario, ma includere anche elementi come tredicesima, quattordicesima, tfr; tenere conto delle differenze produttive che in Italia non sono solo su base di settori industriali ma anche su base geografica, quindi non mettere un unico salario per il territorio nazionale. Infine, modificare il reddito di cittadinanza e renderlo più temporaneo a un livello di reddito più basso e incrementare gli incentivi alla ricerca del lavoro. La cosa che mi preoccupa è che il fatto del reddito di cittadinanza, dal punto di vista di applicazione della norma, ha mostrato tutti i limiti della macchina amministrativa del nostro Stato. Noi abbiamo un tessuto produttivo composto da 3 milioni di aziende e pochi ispettori del lavoro, se vi fossero delle violazioni alla legge sul salario minimo, così come le violazioni al reddito di cittadinanza, chi controlla?”.