Dall’Ungheria a Francia e Gran Bretagna, passando per Stati Uniti, Israele, India e Pakistan. Dopo la stagione del crollo dei muri – un sogno che, a partire dalla caduta di quello di Berlino, sembrava finalmente realtà – nuove barriere dividono il mondo, anche nella civilissima Europa. La scelta del Parlamento ungherese, che ieri ha dato il via libera alla costruzione di un muro sulla frontiera con la Serbia alto 4 metri e lungo ben 175 chilometri, è solo l’ultima in ordine di tempo. Il problema, ancora una volta, è rappresentato dai flussi migratori. Ben 67mila, tra migranti e rifugiati, hanno raggiunto quest’anno il Paese: arrivano da sud, lungo la famigerata “rotta dei Balcani”. «L’Ungheria deve affrontare la più grande ondata di migranti della sua storia. La sua capacità di accoglienza è superata del 130%», ha detto il ministro dell’Interno Sandor Pinter.
Alcuni precedenti. L’idea delle barriere ha, però, diversi precedenti. La guerra tra India e Pakistan sul territorio del Kashmir è cominciata 67 anni fa, quando entrambi i Paesi divennero indipendenti, ma già dal 1949 lo stato del Kashmir è diviso in due da una “linea di controllo”. Un filo spinato corre anche lungo l’area demilitarizzata di Paju, al confine tra le due Coree. E poi il caso curioso dell’enclave di Melilla, una città autonoma spagnola situata sulla costa orientale del Marocco, recintata e sorvegliata, allo scopo di contenere l’ingresso di immigrati. In quanto territorio spagnolo, infatti, l’accesso alla fortezza garantisce via libera all’area Schengen. Celebre anche “la chiusura di sicurezza”, che Israele costruì a partire dal 2002 attorno alla West Bank, in Cisgiordania, per impedire l’intrusione dei terroristi palestinesi nel Paese. Persino i democratici Stati Uniti hanno ceduto alla tentazione di blindare, nel 1994, il confine con il Messico, in Texas. Anche in questo caso, il muro di Tijuana, conosciuto come “muro della vergogna”, ha l’obiettivo di impedire agli immigrati illegali, messicani e centroamericani, di oltrepassare il confine statunitense.
L’Europa, fino a poco tempo fa, era stata toccata solo marginalmente dal problema. “L’ultima capitale divisa”, come recita una targa apposta sulla facciata del Ledra Palace – una volta lussuoso hotel – era Nicosia, capitale di Cipro. La frontiera, che risale all’invasione turca del ’74, è stata rimarcata nel 1983, quando – senza riconoscimento internazionale – il nord (turco) si costituì repubblica autonoma, separandosi dal sud, greco. Dallo scorso settembre, Francia e Gran Bretagna hanno siglato un accordo per blindare il Canale della Manica, rafforzando le recinzioni esistenti nell’area del porto e costruendo una nuova barriera di due chilometri per sei metri di altezza. La strettoia che unisce i due Paesi è stata presa d’assalto da qualche settimana da migranti – di origine africana (eritrei, etiopi, sudanesi, egiziani) e asiatica (siriani e afgani) – che si nascondono nei container, nel disperato tentativo di andare oltremanica. Proprio ieri a Calais, presso l’ingresso dell’Eurotunnel, un migrante è morto in circostanze poco chiare, dopo che era riuscito a salire su una navetta merci diretta in Gran Bretagna. Francia che si sta specializzando nel blindare i confini. A Ventimiglia sostano centinaia di stranieri al giorno: arrivano dall’Italia e vogliono raggiungere il Nord Europa, alla ricerca dei propri parenti. La loro speranza si infrange ogni giorno sugli scogli dei Balzi rossi, accampamento improvvisato dal quale guardano il territorio francese, a pochi passi ma irraggiungibile.
Un’Europa dei popoli che si blinda sempre di più, ripiegata su se stessa e incapace di rispondere all’esigenza di pace, premessa dalla quale era nata nel dopoguerra. Muri non solo fisici: in questi giorni la crisi greca sta palesando l’inadeguatezza di Bruxelles, sempre più germano-centrica. La stessa Germania che nel lontano 1989 è rinata, dopo 28 anni di divisioni, e sulla riunificazione ha fondato la propria fortuna economica.
Nino Fazio