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HomePolitica Belisario: “Con il Digital Services Act potrebbe cambiare il business delle Big Tech”

"Con il Digital Services Act
l'Ue potrebbe cambiare
il business delle Big Tech"

L'avvocato Ernesto Belisario a Lumsanews

"Anche gli Usa necessitano di regole"

di Luca Sebastiani15 Febbraio 2022
15 Febbraio 2022

L’avvocato ed esperto di diritto tecnologico, Ernesto Belisario, ha commentato per Lumsanews il potere delle Big Tech e l’impegno in prima linea dell’Unione europea per regolamentare le grandi aziende.

Come siamo arrivati a questo dominio delle Big Tech?

“Stiamo parlando di piattaforme che rispetto a quando sono nate hanno acquisito un’importanza nella vita delle persone e nelle dinamiche sociali probabilmente impensate e imprevedibili per i loro stessi fondatori. Hanno avuto un impatto sul modo di comunicare, ma anche sul dibattito pubblico o sulla contesa elettorale, pensiamo a quello che è successo a Capitol Hill oppure al caso di Cambridge Analytica. Le piattaforme erano nate per poter essere il regno della libertà rispetto a quello che succedeva sulla televisione o sui giornali. Adesso hanno meccanismi di moderazione dei contenuti degli utenti, necessari per rendere le piattaforme vivibili e per evitare contenziosi; quindi in qualche modo si trasformano in controllori e custodi della libertà di manifestazione, del pensiero, della rimozione di contenuti pagine, di utenti. Stiamo parlando di un fenomeno che della sua portata dirompente devoluzione ha travolto ogni aspettativa, ponendo i gestori delle piattaforme in una posizione assolutamente non preventivabile né da loro né dagli altri”.

In tutto questo il rapporto con gli Stati nazionali è conflittuale, vista la loro volontà di regolamentare queste aziende…

“L’Unione europea purtroppo sconta gli anni di ritardo nella competizione tecnologica, tra colossi come Stati Uniti e Cina, ma il contributo che può portare è sulla specialità della casa: le libertà. Come nel caso del Gdpr, la normativa sulla protezione dei dati personali e sul trattamento. Una normativa che poi è diventata uno standard anche a livello internazionale, ci sono altri Stati che hanno copiato le regole dell’Ue perché diventate cogenti. Regole controllate dalle sanzioni dei garanti europei: sono circa 1,2 miliardi di dollari le sanzioni dal 2018 a oggi per le Big Tech in materia di protezione dei dati personali in Europa. Quindi l’Unione europea non solo è riuscita a darsi delle regole ma attraverso le autorità garanti le ha applicate in modo che fungano da deterrente. Facebook lamenta che sono un ostacolo a poter condurre il modello di business come l’aveva immaginato”.

E l’impegno di Bruxelles continua…

“C’è anche il Digital Services Act, la proposta di legge sui servizi digitali dell’Ue, che dovrebbe vedere la luce nei prossimi mesi, in cui si definiscono delle regole specifiche per le grandi piattaforme, in termini di trasparenza, sul funzionamento dei propri algoritmi anche nei confronti degli utenti, sul perché producono e perché fanno vedere dei contenuti rispetto ad altri, la trasparenza sui meccanismi di moderazione, il divieto di mostrare pubblicità mirata. Se la proposta di legge del digitale dovesse essere approvata così com’è, avremmo una rivoluzione nel capitalismo della sorveglianza e potrebbe cambiare il modello di business di questi giganti”.

Ma gli Stati Uniti, che hanno uno stretto rapporto con le Big Tech, non frenerebbero questa spinta europea?

“Anche negli Stati Uniti si è affermata la necessità di regole. Ma nella sentenza sul caso Trump del board di Facebook, anche i vertici dell’azienda dicono che vogliono delle regole. Le norme europee possono essere riferimento. Lo Stato della California, con la Silicon Valley, ha adottato una legge sulla privacy che in qualche modo riprende il Gdpr. Le regole scritte bene che rispondono ai bisogni sentiti non soltanto in Europa ma ovunque, possono stimolare una concorrenza. A quel punto anche solo in Unione europea si obbligherebbe quei soggetti a sperimentare nuove modalità, più “etiche”. 

Quindi anche le stesse Big Tech vogliono regole. Si troverà una soluzione?

“È realistico pensare che delle regole arriveranno. Se si risolveranno i problemi non sappiamo. Dopo il ban di Trump c’è stata molta preoccupazione. Sono problemi che devono trovare una soluzione non più tramite l’autoregolazione. Ci si è resi conto che non funziona”.

Come si possono rompere questi monopoli e oligopoli?

“Si potrebbe vietare loro la possibilità di fare acquisizioni per evitare che possano crearsi delle concentrazioni assai pericolose. Però oggi un gruppo imprenditoriale ha già due social network, l’app di messaggistica probabilmente più utilizzata al mondo e farà anche il mondo della realtà virtuale. Capire come passare dalla teoria alla pratica è più complesso, anche per i tempi. Ogni anno che passa questi soggetti diventano più solidi”.

Le Big Tech sono destinate ad avere sempre più potere ed essere sempre più pervasive?

“I fatti degli ultimi anni ci stanno dimostrando che questi processi non sono irreversibili. Quindi se attraverso una visione e una conoscenza delle dinamiche, gli Stati hanno la forza di adottare delle norme, ci sarà la possibilità di correggere problemi, altrimenti diventa molto difficile. Non credo che debba essere obiettivo della politica essere punitivi nei confronti di queste società. Bisogna ragionare nell’ottica di un approccio teso a minimizzare i rischi per le libertà e i diritti delle persone e per la qualità delle nostre democrazie. Non so se diventeranno più forti, la curva di crescita certo non può salire all’infinito. Dopo aver probabilmente sottovalutato il problema c’è la volontà della politica di riappropriarsi del proprio ruolo. E non c’è dubbio che in questo momento l’Ue abbia deciso di acquisire il ruolo da protagonista. In attesa che arrivi anche una politica industriale, magari con i soldi del Pnrr, di sicuro mettendo al centro libertà e diritti”.

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