Una Siria, o quel che ne rimane, devastata da tre anni di guerra civile è andata al voto per le presidenziali. Una sceneggiata che avviene in un paese nel quale il conflitto ha già sacrificato 160 mila vittime (secondo il dato dell’osservatorio siriano per i diritti umani) e costretto oltre sei milioni di persone a scappare nei territori sfuggiti al controllo del regime o nelle nazioni vicine. Sulla carta, queste consultazioni sono un confronto fra tre candidati che si sfidano democraticamente. In realtà, salvo veri e propri colpi di scena, si tratterà semplicemente di un plebiscito utile a riconfermare Bashar al Assad, che siede sulla poltrona presidenziale dal 2000, quando di fatto ereditò la carica da suo padre.
A sfidare il leader sciita del partito Baath sono Maher Hajjar e Hassan Nuri, personaggi privi di autorevolezza politica i quali, non essendo per altro legati ai gruppi di opposizione che dal 2011 si oppongono al regime, non hanno condotto alcuna propaganda contro Assad.
Le urne si sono chiuse, a seguito di una proroga di cinque ore dell’Alta commissione elettorale, a mezzanotte di martedì e, secondo fonti governative, i risultati della “farsa” – così i paesi occidentali e quelli arabi del Golfo hanno definito le elezioni – dovrebbero essere diramati giovedì. Secondo il governo di Damasco, la decisione di far slittare la chiusura dei seggi sarebbe dovuta all’affluenza straordinaria che si è registrata. Ma i numeri sono evidentemente viziati dal sistema di pressioni messo in atto dai militari delle forze lealiste, volto a stravolgere il regolare svolgimento delle elezioni.
Le testimonianze in loco raccontano di impiegati pubblici strappati di forza dal luogo di lavoro e costretti a recarsi ai seggi. Nel frattempo, gruppi di manifestanti antiregime sono stati allontanati da tutte le sedi elettorali e l’esercito filogovernativo ha anche incendiato case di cittadini che si rifiutavano di andare a votare. In Giordania, invece, rifugiati di un campo profughi hanno manifestato contro le “elezioni di sangue” definite per altro illegittime, attaccando i concittadini che hanno scelto di andare a votare e annunciando di voler intraprendere lo sciopero della fame.
Ma le elezioni non sono servite a fermare gli scontri a fuoco nei territori di Damasco in mano alle milizie di opposizione. Mentre Assad si recava al seggio per esprimere il proprio voto con moglie e schiera di sostenitori al seguito, numerosi raid aerei hanno colpito una serie di città siriane tra cui Aleppo, provocando decine di morti.
Roberto Rotunno