Sette partite in sette regioni. Un numero che non prevede il pareggio e che dunque – nonostante la prudenza di Matteo Renzi – avrà un preciso significato politico. Il partito democratico ha abbandonato l’idea del 7 a 0. Il sogno del “cappottone” a firma Pd non si realizzerà per un mucchio di ragioni. Per il Veneto di tradizione ormai leghista, per la Liguria in bilico, per la confusione in Campania, per l’astensionismo dilagante.
E allora, dal comizio a La Spezia, Renzi mette le mani avanti: «Non è in gioco il futuro del governo». Silvio Berlusconi dall’Umbria controbatte: «Premier a casa se vinciamo in quattro regioni». Le tre da strappare al Pd, nelle idee di Berlusconi, sono Veneto, Campania e Liguria. Poi, nel corso dell’affollato incontro all’Hotel Giotto di Assisi, aggiunge anche la rossissima Umbria come quarta, per la quale però chiede «un miracolo a San Francesco». Date dunque per certe ai democratici, Toscana, Marche, Puglia e – a meno di interventi divini – anche l’Umbria.
In Veneto il governatore uscente Luca Zaia sembra avere la vittoria già in tasca. Sulla sua giunta la procura ha però aperto in questi giorni un fascicolo per finanziamenti a scopo sociale utilizzati per attività commerciali, per un valore di 50 milioni di euro. Tra i bandi su cui si sta verificando l’ipotesi di reato, spuntano 3 milioni e mezzo di euro girati a una cooperativa per costruire una fattoria in cui lavorassero disabili e diventata, non si sa ancora come, una birreria. Il polverone alzato nella settimana delle elezioni ha infastidito il governatore leghista ma non dovrebbe, a meno di grandi scossoni, spostare gli equilibri.
In Campania e in Liguria invece la situazione è più confusa ed è lì che infatti Renzi torna più di una volta a dare il suo sostegno al proprio candidato. A Genova il partito è rimasto lacerato dalle primarie (con la renziana Raffaella Paita candidata presidente) e ora si trova anche il candidato civatiano Luca Pastorino a sottrarre voti a sinistra. Il vero concorrente da battere è però l’europarlamentare Giovanni Toti, consigliere politico di Berlusconi, che si fa forte di una coalizione con la Lega che nel marasma del centro sinistra si fa forte di un’immagine più unita. In Campania, è lo “sceriffo di Salerno” Vincenzo De Luca (mandato giù a fatica da Renzi, che lo avrebbe piuttosto voluto far scendere dal carro) a dare qualche grattacapo al Pd. Lì dove c’è il caso degli impresentabili a tenere banco nella campagna elettorale e la legge Severino a pendere sulla sua testa in caso di vittoria. Anche qui, è testa a testa con il il governatore uscente e candidato del centrodestra Stefano Caldoro.
La preoccupazione principale dei democratici e di Forza Italia è però l’affluenza alle urne. Alle amministrative in Alto Adige (giro di prova per le regionali del 31 maggio), si sono toccate punte di astensionismo del 57,8%. Per l’idea renziana di “partito della nazione”, il calo di partecipazione alle urne è un problema serio. Sull’astensionismo puntano i partiti che hanno nel loro elettorato uno zoccolo duro di “fedayn”, M5S e Lega Nord in testa, con i primi che lottano per un riscatto dopo le recenti brutte prestazioni elettorali e i secondi che invece cercano la legittimazione del voto popolare come prima forza di opposizione.