Per la prima volta dopo il ritiro delle truppe americane, oggi 30 aprile, l’Iraq andrà alle urne. Circa 22 milioni di elettori si recheranno ai seggi, mentre nel paese il clima sembra essere sempre più teso. Gli attentati delle ultime ore costati la vita a 20 uomini appartenenti alle forze dell’ordine, stanno destando non poche preoccupazioni nelle autorità locali e nella comunità internazionale: si teme che polizia e militari non riescano a garantire la giusta cornice di sicurezza ai seggi. Addirittura è stato permesso alle forze dell’ordine di votare con due giorni di anticipo, in modo da poter garantire una maggiore presenza e quindi sicurezza alle urne.
A stupire è il numero enorme di candidati alle 328 poltrone del parlamento iracheno: 9045 divisi in 276 simboli e 107 liste, di cui 39 in coalizione e 68 indipendenti. Anche se, secondo fonti locali, più che elezioni, la tornata elettorale di mercoledì sembra essere una sorta di referendum per il governo uscente e il premier sciita Nouri al Maliki, fortemente impegnato nella battaglia contro i terroristi islamici in Siria. La coalizione guidata da Maliki, Stato di diritto, è composta da 12 tra partiti e movimenti indipendenti tutti di confessione sciita. Il principale avversario politico della compagine sciita è la Coalizione dei cittadini, composta dall’Isci e altri 18 movimenti e guidata da Ammar al Hakim, leader del Supremo consiglio islamico iracheno. Appare evidente che le confessioni religiose giocheranno un ruolo fondamentale in queste elezioni irachene.
La campagna elettorale, inoltre, è stata caratterizzata da iniziative non poco fantasiose: un candidato ha letteralmente messo la sua faccia sulle etichette di alcune confezioni di pollo, mentre un altro ha sostenuto di essersi candidato perché “ordinatogli in sogno dal Profeta Maometto”.
Cesare Bifulco