Giuseppe Tognon, ordinario alla Lumsa ed ex sottosegretario per la Ricerca scientifica e tecnologica nel Governo Prodi I, ha analizzato con Lumsanews gli scenari politici attuali e futuri dopo i primi exit poll sulla seconda tornata delle elezioni amministrative.
Professor Tognon, il centrosinistra ha vinto la partita delle amministrative imponendosi nelle maggiori città italiane. Il centrodestra perché ha fallito secondo lei?
“Ha fallito perché non ha una classe dirigente e ha creduto che bastasse il voto di opinione per imporre i sindaci nelle città. Il centrodestra scambia il voto di opinione per un voto di amministrazione, mentre il centrosinistra scambia il voto di amministrazione per un voto di opinione. Il caso più emblematico di queste elezioni è che malgrado tutto l’affluenza è stata bassissima e non si è mobilitato nemmeno il popolo del centrosinistra perché i candidati erano deboli da entrambi le parti: il centrodestra non è riuscito a mobilitare le periferie, il centrosinistra ha mobilitato solo un voto borghese ma non ha portato tutti gli “antifascisti” a votare. C’è stata una grande onda di sfiducia, hanno polemizzato troppo, hanno esagerato dall’una e dall’altra parte però potrebbe essere un voto a sostegno di Draghi e di chi governa con competenza piuttosto che un voto di rappresentanza”.
Lei ha ricordato la bassa affluenza. La popolazione non si sente più rappresentata da questa classe politica?
“I candidati in tutte le città erano deboli. A Roma per esempio sarebbe stato diverso se fosse passato al ballottaggio Calenda, perché era l’unico candidato che dimostrava di voler fare davvero il sindaco. Gualtieri è stato messo lì e Michetti è stato pescato chissà dove. Molto probabilmente l’elettorato dei 5 Stelle non è andato a votare e anche parte dell’elettorato di Calenda, per cui Gualtieri è stato eletto con un’affluenza del 38 per cento con meno voti di quelli presi al primo turno”.
Che sindaco sarà?
“Un sindaco che non farà disastri e che non peggiorerà la situazione di Roma. Una persona competente che ha esperienza anche di dimensione europea, ma deve solo sperare che il Paese non vada a destra alle prossime elezioni politiche e avrà bisogno di un governo amico”.
Ora il Pd di Enrico Letta può farcela da solo o ha bisogno comunque di alleanze, con i 5 Stelle fra tutti, per costruire un progetto per il Paese?
“Il Pd non è autosufficiente per nessuna offerta politica duratura. Ha di fronte a sé due strade: una che ha già provato, che è quella di allargare al massimo l’area del consenso intorno a sé e la seconda, sperimentata all’epoca Veltroni e Renzi, di inglobare in sé tutto il centrosinistra. La seconda non funzionerà, mentre la prima dipende dalla legge elettorale che il Paese avrà, perché se sarà di tipo maggioritario allora si potrebbe ripetere ma se sarà proporzionale allora bisognerà fare alleanze dopo il voto”.
Si dice che sia mancato soprattutto il voto dei giovani e delle periferie. Cosa serve per riconquistare questa fetta importante di popolazione?
“L’idea che quello dei giovani sia un mondo a parte e non capisca la politica è un’idea in parte falsa. I giovani hanno solo bisogno di maggiore credibilità, di leadership più attuali, di meno parole e soprattutto di idee forti. Ci vogliono idee che suscitano l’interesse concreto della generazione più giovane e poi ovviamente ci vuole concretezza per gestire gli altri problemi. Da questo punto di vista il limite del Pd è quello di voler tenere insieme tutto e di conseguenza finisce per non parlare il linguaggio dei giovani, il centrodestra invece è molto diviso perché paga l’assenza di una vera e solida destra liberale e poi perché l’unica destra di cui si ha memoria è la destra totalitaria e fascista che lascia dentro l’ala una situazione irrisolta con un forte complesso rispetto al passato”.