La pacchia è finita. “Scivola” oggi e “scivola” domani i soldi per finanziare il prepensionamento dei giornalisti sono finiti. Lo affermo lo stesso segretario nazionale della Fnsi (il sindacato dei giornalisti), Franco Siddi, che parla di una «coperta oramai cortissima».
La crisi. Sono passati quattro anni da quanto lo Stato italiano riconobbe ufficialmente la crisi dell’editoria, attestando anche l’impossibilità che i 18mila contribuenti dell’Inpgi (l’istituto previdenziale dei giornalisti) non potessero far fronte a questa emergenza – finanziando i prepensionamenti – solamente con le proprie forze. C’è stata, dunque, l’attivazione di un fondo di 20 milioni di euro pubblici da affiancare, appunto, all’Inpgi. Tutti finiti.
Come funziona? Affinché un giornalista possa essere prepensionato è necessario che tutti quei contributi mancanti – ossia quelli che la testata non pagherà più – vengano versati. Da chi? E qui entra in gioco l’Inpgi che da solo non riesce più a reggere il carico di tutte quelle domande di prepensionamento, perché, appunto, le richieste sono aumentate sempre di più diventando ormai insostenibili per la cassa di previdenza. Basti pensare che dal2009 a oggi ci sono stati già 789 casi di pensionamento anticipato.
«Un comportamento irresponsabile». «A inizio anno abbiamo mandato una circolare a tutti i cdr [comitato di redazione, ndr] – spiega Franco Siddi – in cui invitiamo a non firmare accordi che prevedessero prepensionamenti, perché di soldi non ce ne sono più». Un appello che però è rimasto inascoltato dal momento che sono in arrivo al ministero del Lavoro circa un centinaio di richieste, delle quali 16 alla Stampa, 12 ad Avvenire, 14 al Corriere dello Sport, 43 a Mondadori e 45 al Corriere della Sera. A detta del segretario della Federazione della stampa ci sono imprese editrici che continuano a siglare intese di pensionamento anticipato come se nulla fosse, «in maniera irresponsabile». Prosegue che il tempo delle mele è finito e che «non si può più scherzare perché la coperta ormai è cortissima». Non perché quest’ultima si sia ritirata per un lavaggio sbagliato, ma semplicemente a causa del comportamento, appunto, irresponsabile delle aziende stesse. Per Siddi «c’è stata una vera e propria corsa per siglare accordi in fretta e furia» e cita il caso della Stampa dove un’intesa è stata firmata in soli tre giorni. «Le ristrutturazioni vanno fatte, ma non con i soldi dell’Inpgi». Non solo, ma per Siddi – che ne ha per tutti – «ci sono cdr che non si rendono conto del momento drammatico, e sono gli stessi che hanno criticato l’uso del prepensionamento fino a qualche anno fa. Gli stessi che ora vorrebbero prepensionamenti a ruscelli».
Il fondo che non c’è più: all’asciutto. Quattro anni fa lo Stato italiano ha stanziato 20 milioni di euro per far fronte all’emergenza. La crisi è peggiorata e d’altra parte la situazione dell’editoria non è migliorata. Il fondo di 20 milioni è stato prosciugato, tanto che per il Segretario della Federazione è necessario un altro intervento pubblico di «almeno 30 milioni di euro per tutelare il bene dell’informazione». Sottolinea quanto l’intervento debba essere a livello nazionale perché non si può pensare di scaricare il peso dei problemi di un settore su quel settore stesso, secondo la filosofia in base alla quale ciascun comparto si paga i suoi ammortizzatori. Anche perché «il fondo prepensionamenti non ha un euro in cassa né per il 2013, né per il 2014».
Paolo Costanzi