GUAYAQUIL – Continuano i disordini in Ecuador. Le Forze armate ecuadoregne hanno ucciso cinque rivoltosi, ne hanno arrestati 329 e hanno liberato 41 ostaggi. Il bilancio è stato comunicato dal capo del Comando congiunto, Jaime Vela, nel primo rapporto ufficiale sulle operazioni effettuate dopo l’ondata di violenze cominciata domenica scorsa. Altre 139 persone, invece, sono prigioniere in cinque differenti penitenziari, come riferito dal Servizio penitenziario (Snai). Le vittime totali dall’inizio degli scontri sono almeno tredici.
L’attacco frontale dei narcos allo Stato
Il Paese è nel caos più totale. Esplosioni, negozi saccheggiati, ostaggi, scontri tra polizia e narcos. E poi le irruzioni negli ospedali, nelle università e nello studio della tv di Stato Tc Television, con decine di uomini incappucciati e armati che terrorizzano i tecnici e i giornalisti presenti. Il tutto trasmesso in diretta o ripreso dai telefonini e diffuso sul web. Crimini che si sono diffusi a macchia d’olio dalla città portuale di Guayaquil, centro nevralgico per i cartelli della droga, alla capitale Quito. Milioni di persone tenute sotto scacco dalle bande armate, scese in strada per dichiarare guerra allo Stato. Intanto, i timori si allargano anche ai Paesi vicini: dopo la Colombia, anche il Perù ha deciso di rafforzare la frontiera con l’Ecuador.
Il videomessaggio a sorpresa
L’11 gennaio è arrivato un sorprendente un videomessaggio da parte delle gang, in cui i criminali fanno mea culpa e puntano il dito contro Noboa. “Salutiamo l’intero Paese e ci scusiamo per i disordini, soprattutto con voi poveri, che siete i più colpiti”, afferma uno di loro. Poi l’attacco al presidente. “La Colombia ha accordi con gli Stati Uniti e ha fatto trattati di pace con le Farc, guerriglieri e paramilitari, mentre tu – Noboa – vuoi uccidere e far uccidere il popolo ecuadoregno per il tuo dannato ego”. E ancora: “Sai cos’è un accordo di pace? Serve a porre fine a uno scontro armato tra due nazioni o organizzazioni con l’obiettivo di una vita migliore”. Il concetto è chiarissimo, le sorti dell’Ecuador molto meno.
L’origine dei disordini
Tutto è iniziato domenica 7 gennaio, con l’evasione del super boss e re del narcotraffico ecuadoregno, José Macías Villamar, conosciuto come “Fito”, leader della principale banda del Paese, i Los Choneros, associata al cartello messicano di Sinaloa. Parte la caccia all’uomo più pericoloso dell’Ecuador e il presidente Noboa dichiara lo stato di emergenza per sessanta giorni. “È finito il tempo in cui i condannati per traffico di droga, sicari e criminalità organizzata dettavano al governo in carica cosa fare”, afferma con forza Noboa. Parole non sfuggite all’attenzione delle bande, in uno Stato in cui i livelli di corruzione e di commistione tra le istituzioni e la criminalità sono elevatissimi. È così che è scattata la rivolta dei “terroristi”, come li ha definiti il presidente, con l’obiettivo di incutere timore alla popolazione e rivendicare la propria supremazia.