La Federal Reserve va avanti e non cede a Trump. Il processo di normalizzazione della politica monetaria dell’istituto di Washington prosegue, nonostante lo scontento del presidente. La Fed alza il costo del denaro di un quarto di punto, tra il 2 e il 2,25 per cento, superando una soglia che non veniva sfiorata dal 2008.
“Non sono contento degli aumenti dei tassi di interesse – ha detto Trump – sono preoccupato del fatto che alla Fed sembra piacere alzare i tassi”. Ma il presidente della banca centrale, Jerome Powell, ha richiamato all’indipendenza dell’istituto: “Il Congresso ci ha dato un importante compito. Non prendiamo in considerazione fattori politici”. Powell ci ha tenuto a chiarire che al momento la Fed non vede effetti sull’economia dalla politica commerciale ma che, piuttosto, sarebbe opportuno tenere sotto controllo i dazi, che nel lungo periodo potrebbero essere negativi per gli Stati Uniti. Un messaggio chiaro, insomma, sui rischi che implicherebbe una guerra commerciale con la Cina.
La Fed ha aperto alla possibilità di un ulteriore rialzo dei tassi per la fine del 2018, se non ci saranno scossoni economici. Poi ancora tre aumenti il prossimo anno per portare i tassi al 3,1% e un ultimo nel 2020. Ma l’istituto rassicura: “L’economia è solida, il tasso di disoccupazione è in calo e i salari in aumento: tutti segnali positivi – ha spiegato Powell – Ma il quadro economico non è ancora perfetto, perché i benefici dell’espansione non sono colti da tutti gli americani”.