Il silenzio istituzionale posto sul referendum consultivo per la liberalizzazione del trasporto pubblico di Roma, in programma l’11 novembre, intensifica la crisi in Campidoglio, già calda per l’attesa della sentenza del 10 novembre che vede imputata la sindaca Raggi per falso in atto pubblico.
Pochi cittadini romani sanno che domenica prossima, dalle ore 8 alle 20, sono aperte le urne per decidere il futuro del trasporto pubblico capitolino. Da qui l’accusa del segretario nazionale dei Radicali Riccardo Magi più volte lanciata alla sindaca: “Si è voluto far sapere il meno possibile di questo referendum”.
I quesiti sono due: l’eliminazione del monopolio della gestione dei tram, bus e metro affidati oggi all’Atac, e per concedere la messa a gara e l’offerta del trasporto locale a nuovi soggetti aziendali pubblici e privati, in forma concorrenziale comparativa.
L’amministrazione comunale, che ha fissato il quorum a 700 mila votanti per validare la consultazione, tuttavia, non è obbligata a conformarsi all’esito del voto. Il referendum sul trasporto locale in caso di vittoria del Sì affiderebbe al Comune di Roma la possibilità di sanzionare e revocare la concessione se l’azienda non rispetta il contratto di servizio; condizione non prevista attualmente con la municipalizzata Atac.
Il voto referendario acquisisce ulteriore valore se si analizza l’attuale situazione di Roma Tpl che, tra disagi e collassi finanziari, gestisce con fatica il servizio del trasporto pubblico periferico. Oltre ai passeggeri, le principali vittime sono circa 500 dipendenti della società Roma Tpl che da mesi lamentano e protestano per il mancato esborso dello stipendio: attendono ora una risposta concreta dal Comune di Roma.