Dopo Dj Fabo, un altro caso di suicidio assistito nella clinica svizzera Dignitas. Ieri il pensionato veneziano Gianni Trez ha compiuto la sua scelta, spirando a mezzogiorno. «Non ha sofferto, era sereno» ha riferito la moglie Emanuela Di Sanzo «io e mia figlia gli abbiamo stretto le mani fino all’ultimo» . La donna ha poi ringraziato gli infermieri svizzeri e i volontari veneti dell’Avapo.
«Potrei vivere ancora mesi, forse anni, ma non riesco a mangiare, a parlare, a dormire. Provo dolori lancinanti. È una sofferenza senza senso» aveva detto il pensionato veneziano durante un’intervista. «Sono sempre stato un salutista. Vegano, addirittura. Poi la diagnosi del tumore, la prima operazione, le cure. Quindi la ricaduta, altre terapie, altra operazione. E ho detto basta! Mi sono informato, ho mandato le cartelle cliniche. E alla fine, dopo mesi di attesa, mi hanno convocato».
«Mio marito era malato da due anni di tumore ma era comunque una persona ancora lucidissima. E non depressa» ha replicato la consorte alle ipotesi di una decisione presa sull’onda dello sconforto. «La scelta è stata fatta in modo consapevole e ragionato. L’abbiamo elaborata a lungo».
«Diversi anni fa» ha infatti proseguito «ben prima che Gianni si ammalasse, eravamo insieme davanti alla televisione e guardavamo un programma dove c’era un servizio proprio su questo suicidio assistito in Svizzera», racconta. «Gianni mi ha guardato e me lo ha detto in quel momento: ‘Se mi ammalo voglio morire così’».
«A lui piaceva tantissimo vivere però voleva morire senza soffrire, in modo dignitoso. Ormai pesava cinquanta chili, ed era costretto alla morfina tre volte al giorno». Durissimo infine il giudizio sull’Italia: «E’ offensivo che in un paese civile non ci sia una norma che permette ad una persona in queste condizioni di decidere come morire, e senza dover soffrire».
E un appello ai parlamentari «Ora facciano una legge per impedire questi pellegrinaggi crudeli».