“Io, Fabiano Antoniani, Dj Fabo, nato a Milano il 9 febbraio 1977, all’età di sette anni, frequento la scuola di musica per imparare a suonare la chitarra. Da bambino spesso suono come primo chitarrista e partecipo a numerosi saggi. Visto il talento, i miei genitori mi costringono a frequentare il Conservatorio di Milano, Villa Simonetta, ma a causa del mio comportamento ribelle vengo espulso”.
Si apre così il testamento di Fabiano Antoniani, morto ieri in Svizzera, dove si era recato con la compagna Valeria, che non ha voluto mai abbandonarlo, qualche persona cara ed il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, che ora rischia 12 anni di carcere per aver aiutato Fabo nel terminare la sua “lunga notte senza fine”.
“Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione, non trovando più il senso della mia vita ora. Fermamente deciso, trovo più dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia”. Fabo ha deciso volontariamente di porvi fine: è stato lui, con i suoi denti, a premere il pulsante che ha liberato nel suo organismo i farmaci che lo hanno portato a spegnersi in una struttura del paese elvetico.
“Da sempre lavoratore, appena diplomato da geometra, inizio a lavorare per svariate aziende. Per otto anni – racconta – lavoro con la mia seconda passione, il motocross, e mi occupo del reparto commerciale del team supermotard Daverio e contemporaneamente lo pratico come sport” ma “a causa di un incidente durante una gara, sono costretto ad abbandonare il mondo del motocross”.
Dopo aver abbandonato il mondo delle due ruote, continua il testo di Fabo, “mi trasferisco, nei periodi estivi, ad Ibiza per un periodo di studi in cui ricomincio a lavorare con la musica più moderna. Forse a causa della magica influenza dell’isola, forse per vocazione, subito mi rendo conto che il mio unico e vero posto è dietro la consolle! È così che in un momento, ringraziando gli studi di musica del passato, la mia musicalità e le numerose conoscenze di dj set, in poco tempo inizio a suonare un po’ ovunque”.
La musica, passione che muoveva Fabiano, che in consolle diventava Dj Fabo, e che lo spinge ad un grande cambiamento nella sua vita, come racconta il testamento che ha lasciato: “Mi licenzio da un contratto a tempo indeterminato a Milano, ma ormai capisco che il mio posto è altrove. Per lavoro, passione e amore negli ultimi anni riesco a dividermi tra l’Italia e Goa (India, ndc), dove lavoro e vivo mantenendomi con la musica, scoperta per caso in uno dei viaggi più indimenticabili della mia vita, capisco che il mio posto e il mio futuro sarebbero stati in quel Paese. Mi trasferisco per otto mesi l’anno con la mia fidanzata e riconosco finalmente me stesso, dopo aver indossato numerosi abiti che mi andavano stretti”.
Nel paese indiano Fabo ottenne grande successo, e buona fama, oltre che moltissime serate e manifestazioni che lo vedevano nel posto dove voleva essere: dietro alla consolle, scaldando le piste da ballo. Ma proprio in uno dei pochi momenti passati in Italia, la vita di Fabo si sgretola: “Dopo aver suonato una sera in un locale di Milano, tornando a casa, un rovinoso incidente mi spezza i sogni e la vita”. E lo porta all’epilogo, il 27 febbraio del 2017, quando decide volontariamente di togliersi la “non-vita”.
Ma chi era davvero Fabiano Antoniani? Nella toccante missiva, l’ultima che ha voluto scrivere, si descriveva come un “giovane adulto sempre vivace e vero amante della vita. Non riesco a fare a meno degli amici per esserne al centro trascinandoli con me. Generoso forse un po’ insicuro quando si tratta di scelte importanti da fare da solo. Vittima spesso della mia stessa vivacità, facilmente mi annoio, pronto a gettarmi per primo nelle situazioni più disparate. Incapace di sopportare il dolore sia fisico che mentale. Preferisco stare solo ora che non poter vivere come prima. Vivo oggi a casa di mia madre a Milano con una persona che ci aiuta e la mia fidanzata che passa più tempo possibile con me. Mi portano fuori ma spesso non ne ho voglia”.
Il testo, ripreso dall’Ansa, si conclude con un plauso all’Associazione Luca Coscioni, considerata “una realtà che difende i diritti civili in ogni fase dell’esistenza dei cittadini. compreso il diritto sacrosanto di morire. Grazie, Fabiano Antoniani”.