La diffamazione su Facebook non è alla pari di quella sulla stampa. Anche se, evidentemente, può raggiungere un pubblico più ampio. È stata questa la decisione presa, con la sentenza n. 4873/17, dalla quinta sezione della Corte di Cassazione. Respingendo, quindi, il ricorso del procuratore della Repubblica di Imperia, che aveva impugnato per “abnormità” l’ordinanza con cui il Gip aveva riqualificato un fascicolo relativo ad alcuni “apprezzamenti” via Facebook. Giudizi pubblicati a Diano Marina (Imperia), nell’estate di quattro anni fa, da un imputato catanese sessantenne nei riguardi di un terzo.
Secondo il giudice, non si trattò di diffamazione aggravata dal fatto determinato e “dal mezzo della stampa”, ma di diffamazione aggravata dal “mezzo di pubblicità” (ossia Facebook). La Cassazione, dunque, ha bocciato il ricorso della Procura ligure, ribadendo un precedente del 2015 secondo cui la bacheca del social network può essere incasellata agevolmente nell’articolo 595 del codice penale.