Giorgio Cuzzelli è un generale di brigata dell’Esercito Italiano in congedo. Attualmente svolge attività di consulenza nel campo della sicurezza internazionale, collaborando con varie istituzioni accademiche in Italia e all’estero. Ha prestato servizio con il contingente italiano della forza mobile della NATO. Dal 2010 al 2015 è stato assegnato alla NATO, dapprima in Italia e poi in Belgio. Nel corso della carriera ha comandato unità ad ogni livello, dal plotone al reggimento, nazionali e multinazionali, in patria ed all’estero ed è stato impiegato in operazioni nei Balcani ed in Afghanistan. Attualmente insegna all’Università Lumsa “Studi strategici e sicurezza internazionale”. A Lumsanews ha analizzato il conflitto israelo-palestinese, scoppiato nei giorni scorsi.
Cosa sta succedendo ad Israele e questi attacchi erano prevedibili?
“Stiamo assistendo a un atto di guerra da parte di Hamas. Un attacco che si è sviluppato in due giorni e su due dimensioni diverse: come attacco missilistico e come offensiva terrestre. L’attacco terrestre è stato finalizzato a superare la frontiera di Gaza e ad acquisire il controllo di località di frontiera per catturare ostaggi”.
Di che tipo di offesa si tratta, in termini militari?
“Ci troviamo di fronte ad un’offesa asimmetrica. Questa non è una guerra convenzionale, dove le due parti sono simili. Sono due entità che si fanno guerra in modo diseguale. C’è una sproporzione, derivata dalla diversità di mezzi, procedure, dottrine e finalità”.
Cosa si intende per differenza di finalità?
“La finalità in una guerra asimmetrica è sopravvivere e vincere contro un avversario che, oggettivamente, è più forte. Hamas è più debole di Israele per mezzi e tecniche. Per attaccare deve sfruttare le debolezze dell’avversario e colpirlo dove meno se lo aspetta. Hamas non può affrontare Israele in campo aperto, lo può affrontare solo colpendolo dove è più debole. Di conseguenza, attacca la popolazione, che rappresenta la vera vulnerabilità dello stato ebraico”.
Qual è il suo scopo?
“Lo scopo di Hamas è comprometterne la volontà di resistenza dell’avversario. Colpendo la popolazione, il gruppo terroristico dimostra che Israele non è in grado di proteggere i propri cittadini. Del resto, Israele, come entità, si fonda su un accordo non scritto nato alla conclusione della II Guerra Mondiale; il suo fine era ed è tuttora quello di riunire tutti gli appartenenti alla religione ebraica e proteggerli da un nuovo Olocausto”.
Si può parlare di “fallimento dell’intelligence israeliana”?
“Occorre essere molto prudenti nelle valutazioni. Ci sono stati verosimilmente alcuni indicatori. Gli israeliani sapevano che sarebbe potuto accadere qualcosa dai paesi limitrofi. L’elemento di sorpresa non risiede nell’attacco in sé, ma nella qualità e quantità dell’offesa. L’attacco è stato preceduto da mesi di preparazione approfondita, è stato studiato lo sviluppo della frontiera, i luoghi da colpire e la natura del sistema antimissile utilizzato da Israele”.
Che ruolo ha avuto l’Iran?
“Hamas, da solo, non avrebbe potuto organizzare tutto questo, l’attacco è stato studiato e pensato dall’Iran, uno stato più importate e preparato. I missili utilizzati nell’attacco sono composti da parti prodotte in Iran; queste, clandestinamente, sono arrivate nella striscia di Gaza e sono stati assemblate da Hamas. L’Iran, anche senza alcuna rivendicazione, sostiene da sempre la causa palestinese”.
Quanto sono stati importanti i mezzi di comunicazione di massa?
“L’uso dei mezzi di comunicazione di massa, con le immagini degli ostaggi malmenati, è una scelta ben precisa di Hamas per impressionare l’opinione pubblica israeliana, quello del mondo arabo e quella del mondo intero. Essendo un conflitto asimmetrico è in gioco la reciproca legittimazione dei contendenti. Lo scopo politico dell’attacco è duplice: far fallire gli accordi in corso d’opera tra Israele e l’Arabia Saudita e riportare al centro della vicenda internazionale la questione palestinese”.
Potrà cambiare il panorama geopolitico?
“Cambierà in base alla scelta si Israele: contrattaccare e rischiare di ledere il consenso internazionale o non fare nulla e dare, così, un segnale di debolezza. Si dovrebbe scegliere una via di mezzo, ovvero, l’equilibrio tra consenso internazionale ed interno. L’attacco potrebbe essere controproducente. Una parte consistente di questo attacco e della risposta si gioca infatti in termini di consenso delle opinioni pubbliche”.
La posizione degli Usa?
“La flotta americana spostata nel Mediterraneo orientale è un segnale politico chiarissimo rivolto a qualunque terzo attore. L’America è pronta ad intervenire al fianco di Israele“.