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Diaz, Orfini apre un nuovo processo mediatico contro De Gennaro

di Federico Capurso09 Aprile 2015
09 Aprile 2015

«Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica. Lo dissi quando fu nominato e lo ripeto oggi dopo la sentenza». Il tiro al piccione del presidente del Pd Matteo Orfini contro Giovanni De Gennaro, detto “lo Squalo”, capo della polizia ai tempi del G8 di Genova, è incomprensibile se non si amano i retro-pensieri. Più comprensibile, invece, se l’amore per il giustizialismo, i processi mediatici, il garantismo a singhiozzo, è tale da onnubilare quel senso di ragionevolezza che manca oggi, nelle accuse di Orfini, e che mancò nel 2001 dopo i fatti della scuola Diaz.

Oggi De Gennaro è presidente di Finmeccanica, incarico ricoperto durante il governo Letta e riconfermato da Matteo Renzi. Prima uomo di Monti a Palazzo Chigi e, prima ancora, ai vertici dei servizi segreti dopo l’intervento salvifico richiesto nel 2008 da Silvio Berlusconi a Napoli per l’invasione della mondezza. Tra il 2001 e il 2008, tra gli scontri di Genova e la mondezza campana, De Gennaro è rimasto, come se nulla fosse successo, Capo della polizia.

Nel frattempo – non va dimenticato – si è chiuso un processo arrivato fino in Cassazione. «De Gennaro è stato indagato e assolto» dalle accuse di coinvolgimento nella decisione di irrompere nella scuola Diaz, massacrare 87 no-global e arrestarne 93, spiega Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, in una intervista ad Agorà (Raitre). «L’assoluzione conterà pure qualcosa – ribadisce Cantone -. Non si possono pagare le responsabilità complessive di una macchina intera». Vero, com’è anche vero che tra responsabilità penale e responsabilità oggettiva di differenza ne passa.

E allora non si coglie il senso di indignazione per la presidenza di Finmeccanica oggi, quando lo stesso sentimento non scaturì dalla nomina a sottosegretario alla presidenza del Consiglio, né per la poltrona occupata da dirigente del Sismi. Ancora peggio se non si chiesero nel 2001, quando la responsabilità oggettiva, da Capo della polizia e quindi responsabile delle decisioni dei suoi sottoposti, gravava come un macigno sulla testa di De Gennaro.

Orfini, in tutto questo, non ha certo la colpa di non essersi indignato nel 2001, quando gravitava ancora intorno al circolo di quartiere del partito, a Roma. Semmai, di aver aspettato la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ha gettato la macchia indelebile della “tortura” sulla polizia italiana, per sollevare dubbi sull’opportunità di una nomina riconfermata dal segretario del suo partito e svolta, finora, senza accuse di responsabilità – né penale né tantomeno oggettiva – da cui difendersi. Insomma, l’indignazione a quindici anni di distanza, espressa via tweet, non compensa un’ingiustizia. Semmai, ne compie un’altra.

E difatti, di fronte al plauso ad Orfini da parte del Movimento5Stelle e di Sel, il gotha del Pd ha dovuto prestarsi a contorsioni politiche per isolare la posizione del suo stesso presidente. Una posizione «sempre espressa» da Orfini e dunque rispettabile nella sua coerenza – ma nulla di più, non sia mai.

Per Renzi «la risposta di chi rappresenta un Paese» è proprio nell’istituzione del reato di tortura. Un Ddl che è fermo da due anni in Parlamento e che forse, dopo la sentenza di Strasburgo, vedrà un’accelerazione, nonostante molti parlamentari, da una parte e dall’altra, siano preoccupati dalla fretta con cui si sta affrontando il tema.

Forza Italia si schiera invece con le forze dell’ordine. «Non partecipiamo – sostiene Michaela Biancofiore – allo sciacallaggio contro le forze di polizia. Da cittadina ancora prima che da parlamentare invito gli italiani ad un coro unanime: je suis polizia». Claudio Scajola, ministro dell’Interno del governo Berlusconi ai tempi del G8, si appresta invece a declinare le proprie responsabilità negli episodi di tortura: «Assolutamente non mi sento responsabile politico di quanto successo alla Diaz».

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