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Detenuti stranieri, tanti ma meno di dieci anni fa

di Maddalena Lai24 Ottobre 2023
24 Ottobre 2023

Foto di <a href="https://pixabay.com/it/users/jodydelldavis-28951/?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=219264">Jody Davis</a> da <a href="https://pixabay.com/it//?utm_source=link-attribution&utm_medium=referral&utm_campaign=image&utm_content=219264">Pixabay</a>

Detenuti stranieri, sono tanti ma meno di dieci anni fa  

Negli ultimi dieci anni la popolazione detenuta nelle carceri italiane è diminuita. In proporzione gli stranieri delinquono più degli italiani, ma il dato è in fase decrescente rispetto all’ultimo decennio. Anche i timori degli italiani in merito sembrano essersi ridimensionati. Secondo gli ultimi dati del ministero dell’Interno, solo il 4,7% infatti indica l’eccessiva presenza di immigrati come causa di diffusione dei fenomeni criminali nel Paese. Eppure, sia per i media che per la propaganda di un certa parte politica, i reati compiuti da stranieri sembrano essere uno dei problemi principali del Paese. 

I numeri di un fenomeno

Secondo i dati del ministero della Giustizia, al 31 marzo 2023, il totale degli stranieri nelle carceri italiane è di 17.676 persone. Rispetto al totale della popolazione detenuta – che ammonta a 56.674 unità – si tratta del 31,3% del totale. Sempre secondo il ministero della Giustizia, al 27 luglio 2013 gli stranieri in stato di detenzione erano 22.874 su una popolazione carceraria totale di 65.163. Si trattava, dunque, del 35,10%. Il dato, in calo, appare ancor più significativo se rapportato al totale della popolazione straniera regolarmente residente in Italia. La popolazione straniera censita e residente in Italia, al 1° gennaio 2013, era di 4.387.721 persone, mentre il dato al 1° gennaio di quest’anno è di 5.050.000 presenze.

La percentuale di stranieri detenuti in rapporto alla popolazione straniera residente sul territorio era – dunque – dello 0,5% nel 2013, mentre si attesta ora allo 0,35%. Il dato può essere poi posto in relazione con il numero di cittadini italiani detenuti. Su una popolazione di 53.800.000 milioni di italiani residenti, al 1° gennaio 2023, 38.998 si trovano in stato di detenzione. Si tratta, dunque, dello 0,07% della popolazione. Al 31 dicembre 2013, invece, su 55.882.668 italiani residenti sul territorio, erano 42.298 quelli in stato di detenzione (lo 0,08%). 

In sintesi i numeri dicono indubbiamente che gli stranieri, tenuto conto della popolazione residente, in proporzione compiono più reati degli italiani, ma che il fenomeno rispetto a dieci anni fa è in calo. 

La popolazione dei detenuti stranieri rispetto al totale della popolazione carceraria 2013-2023

Rapporto tra stranieri residenti in Italia e stranieri detenuti 2013-2023

Mancata integrazione e devianza sociale

Al di là dei numeri e statistiche, sembra esserci un legame tra la mancata integrazione dei migranti che arrivano in Italia e la loro tendenza a mettere in essere condotte illegali. Come spiega a LumsaNews Oliviero Forti (responsabile delle politiche migratorie e della protezione internazionale della Caritas italiana), lo straniero che delinque generalmente lo fa “non perché voglia arricchirsi, ma perché si trova in una condizione di marginalità e cerca degli espedienti per sopravvivere”. 

“Il modello dell’accoglienza”, continua Forti, “dovrebbe essere diffuso sul territorio” e soprattutto sostenuto da investimenti statali, che, in questo senso, mancano. Il sistema dell’accoglienza, nella misura in cui funziona, si fonda perlopiù sulle attività del terzo settore, in cui spiccano esperienze virtuose che, tuttavia, come rimarcato da Forti, “non sono istituzionalizzate e non fanno sistema”. Un sistema che, alle condizioni attuali, costa allo Stato più di quanto costerebbe un investimento di lungo termine per rendere effettivamente efficace e funzionante la prima accoglienza. Nessun governo negli ultimi anni, né di destra né di sinistra, si è mai speso per interventi programmatici a lungo termine e la narrazione prevalente si è sedimentata sull’idea dell’emergenza. 

La vita degli stranieri in carcere

A restituire un’immagine precisa di quanto siano difficili le condizioni di vita dei detenuti ci ha pensato più volte la Corte europea dei diritti dell’uomo che ha evidenziato che la violazione dei loro diritti fondamentali non è “conseguenza di episodi isolati”, ma “un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano”. 

Un malfunzionamento che, come spiega a LumsaNews la criminologa psico-forense Mariangela De Vecchis, “si acuisce ulteriormente nel caso dei detenuti stranieri”. 

Il primo ostacolo, per loro, è quello linguistico. Per legge i detenuti dovrebbero avere gli atti del processo e qualsiasi provvedimento a loro carico tradotti nella loro lingua madre, ma questo molto spesso non accade. “Molti impiegano del tempo a comprendere cosa gli sta accadendo” continua De Vecchis, “anche per l’assenza di un numero sufficiente di mediatori culturali”, che spieghino al detenuto straniero la sua situazione e il contesto del carcere in cui va ad inserirsi. 

Le politiche  del governo Meloni 

Sulla scia dello slogan “rimandiamoli a casa loro”, il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha ipotizzato accordi con i Paesi d’origine dei detenuti stranieri, affinché questi ultimi scontino lì la pena. Nelle intenzioni del governo  queste intese  dovrebbero alleggerire la situazione di sovraffollamento nelle carceri. Ma è una strada fattivamente praticabile? 

Secondo Gaia Caneschi, docente di Diritto penitenziario all’Università degli studi di Milano, la proposta del governo, allo stato attuale, “è embrionale” e soprattutto si scontra con due problemi principali. Il primo è che, per il diritto internazionale, “la pena deve essere eseguita nel Paese dove il reato è stato commesso e dove l’imputato è stato condannato”. Il secondo è che – ammesso che l’Italia riesca a stipulare accordi per il rimpatrio dei detenuti con il loro Paese d’origine – gli accordi dovrebbero garantire  “gli standard minimi di tutela e rispetto dei diritti fondamentali”. 

 

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