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Derivati, ecco la bomba a orologeria nei conti pubblici. Repubblica rivela una perdita potenziale di otto miliardi di euro

di Carlo Di Foggia26 Giugno 2013
26 Giugno 2013

Potrebbe aprirsi un nuovo fronte d’emergenza per i conti pubblici. A rivelarlo è oggi il quotidiano La Repubblica. La bomba a orologeria – che porta con se una perdita potenziale di otto miliardi di euro – riguarda una dozzina di contratti derivati sottoscritti dal Tesoro agli inizi negli anni ‘90 per agganciare il treno dell’ingresso nell’euro e consentire così anticipazioni di cassa, cioè liquidità, e rispettare i sacrifici imposti dai negoziati per la valuta unica.
Un impegno che però adesso pesa nelle casse dello Stato visto che quei derivati – strumenti saliti alla ribalta dei media mondiali solo dopo lo scoppio della crisi finanziaria – sono stati tutti ristrutturati tra maggio e dicembre del 2012.

Un’operazione che il dicastero di via XX settembre ha compiuto nel più assoluto riserbo, e le cui tracce sono contenute nella relazione sui conti pubblici che il Tesoro invia con scadenza semestrale alla Corte dei Conti. Trenta pagine di dati da passare al vaglio dei revisori contabili, ma le ultime dieci si riferiscono alla “gestione delle passività e del rischio di tasso e di cambio”, operazione di solito effettuata ricorrendo proprio ai derivati. Una prassi consolidata, quindi, ma rischiosa. Questi strumenti sono infatti delle scommesse, il cui valore “deriva” da altro (titoli, obbligazioni, valute, tassi di interesse) e servono a bilanciare i rischi di un contratto sottostante. Ma gli asset sui quali sono stati basati quei contratti difficilmente potrebbero volgere a favore del Tesoro, e quindi dare un saldo finale positivo per le casse dell’erario. La partita è complicata, tanto che nelle scorse settimane i magistrati contabili hanno inviato le fiamme gialle in via XX settembre per ottenere i contratti di stipula (in gergo tecnico confirmation letter). Ma gli investigatori sono tornati a mani vuote, visto che finora il Tesoro si è rifiutato di mostrare quei documenti, e anche di fornire spiegazioni ai giornalisti che ne hanno chiesto conto.

Ma perché ristrutturare quei contratti? La maggior parte di quelle operazioni riguarda interest rate swap, derivati di base utilizzati per stabilizzare gli oneri sul debito pubblico (cioè quello che lo Stato paga a chi acquista i buoni del Tesoro) e metterlo al riparo da un improvviso rialzo dei tassi. Come riportato da Repubblica, la maggior parte di queste operazioni non sembra aver comportato una forte perdita iniziale per l’erario, anzi, dai documenti sembra proprio il contrario. E questo perché molto probabilmente si tratta di contratti stipulati per garantire prestiti al Tesoro, che si è impegnato a pagare interessi elevati ma ad un tasso fisso. Ma a fronte di un vantaggio iniziale, oggi lo Stato è costretto a rimborsare a caro prezzo quei prestiti e a rinegoziare i contratti, e questo getta ombre sui 160 miliardi in derivati custoditi nei nostri conti pubblici.

Il caso più eclatante riguarda un’operazione compiuta su uno swap, un accordo tra due parti in cui una cede all’altra un flusso di interessi calcolati su un determinato ammontare, con un tasso fisso in cambio del ricevimento degli interessi calcolati secondo un tasso variabile. L’ammontare riguardava tre miliardi di debito pubblico e in cambio dell’ingresso nel contratto swap, il Tesoro si impegnava a garantire alla banca di turno un futuro tasso fisso del 4,653%, in cambio, appunto, di un prestito iniziale. Il derivato produce il suo valore alla scadenza ma i flussi si possono “prezzare” attualizzandoli. E molti di questi sono stati deprezzati. Il contratto è stato quindi ristrutturato a maggio del 2012 e da un valore negativo per lo stato di 900 milioni di euro, si è passati ad uno pari a 1350 milioni, per una perdita che ammonta a 450 milioni di euro. «Molti errori sono stati commessi negli anni novanta per consentire all’Italia di entrare nell’euro», ha spiegato una fonte ministeriale al quotidiano diretto da Ezio Mauro. E gli effetti pesano come un macigno nelle casse e rischiano di aggravare ulteriormente lo stato dei conti pubblici.

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