Per ora l’indagine è contro ignoti, ma è chiaro che potrebbe arrivare ben presto all’ex ministro dell’interno Claudio Scajola, recentemente arrestato con l’accusa di aver favorito la latitanza dell’ex deputato di Forza Italia Amedeo Matacena. L’esponente di Forza Italia era già caduto in disgrazia una prima volta nel 2002 all’indomani dell’omicidio, da parte delle ‘Brigate rosse’, del giuslavorista Marco Biagi, a cui era stata revocata la scorta nonostante le minacce ricevute e l’assassinio, tre anni prima, del collega Massimo D’Antona, predecessore nell’incarico di consulenza per il Governo.
«Omicidio per omissione». In pratica il procuratore capo Roberto Alfonso ed il suo sostituto Antonello Gustapane ipotizzano ora che il mancato ripristino della protezione al docente emiliano abbia favorito i suoi assassini, e che di conseguenza ciò configuri una responsabilità penale nei confronti di chi avrebbe dovuto garantire la sua incolumità. Ciò sarebbe provato da una richiesta urgente inviata per lettera dall’allora ministro del Welfare Roberto Maroni pochi giorni prima del delitto, che non sarebbe stata tenuta in considerazione. Un ulteriore elemento di accusa nei confronti di Scajola sarebbe la testimonianza dell’ex segretario Luciano Zocchi, che avrebbe consegnato al suo capo un appunto riassuntivo di tutte le sollecitazioni a favore della tutela di Biagi pervenute da varie personalità: dalla moglie di Maurizio Sacconi (a sua volta ex ministro del Lavoro), all’allora direttore generale di Confindustria, Stefano Parisi.
Le doppie dimissioni di Scajola. Dopo alcuni giorni di polemiche, Scajola fu costretto a dimettersi dal Viminale quando si scoprì che non solo aveva sottovalutato il pericolo, ma aveva definito sprezzantemente il professor Biagi «un rompic…., interessato solo ad ottenere il rinnovo della consulenza». Scajola riuscì poi a risalire la china, fino alle seconde dimissioni, questa volta da ministro dello Sviluppo economico, in seguito alla nota vicenda della casa di fronte al Colosseo, pagata in gran parte dal costruttore Diego Anemone «a sua insaputa».
Intervistato questa mattina a Radio Anch’io, su Radio1 Rai, il premier Matteo Renzi ha ribadito di voler togliere la scorta ai politici «che la usano come status symbol», ma che le persone in pericolo devono essere tutelate. Quanto alla vicenda Biagi, ha preferito non esprimersi, in quanto «è in corso un’indagine della magistratura».
Di Alessandro Testa