Giovanni De Francesco è un avvocato ed esperto di diritto del lavoro. A Lumsanews ha descritto gli aspetti giuridici dell’introduzione del salario minimo garantito dalla legge.
Come siamo arrivati a un salario minimo fissato dalla legge?
“Salario minimo e garantito. Minimo rispetto a cosa? E chi lo garantisce? L’articolo 36 della Costituzione stabilisce che lavoratori e lavoratrici devono percepire un salario, in base al lavoro che fanno, sulla quantità e la qualità, ma comunque non può essere al di sotto di una somma che possa garantire una sopravvivenza libera e dignitosa dell’individuo. Tutto ciò è demandato ai sindacati, che rappresentano gli interessi dei lavoratori e stabiliscono quanto debbano guadagnare. E da qui sono scaturiti i riferimenti ai minimi tabellari stabiliti dai contratti collettivi. Fintanto che i minimi garantivano questa sufficienza, il problema del salario minimo stabilito per legge non c’era, perché i lavoratori stavano bene. Ma da almeno vent’anni c’è una sofferenza delle retribuzioni, che non garantiscono più quella sufficienza e patiscono il carovita a causa di mancati interventi. Per questo ci sono paghe da fame. Oggi i poveri sono anche chi il lavoro ce l’ha. Le istituzioni, i sindacati, a cui faceva riferimento la Corte costituzionale e che devono garantire gli interessi dei lavoratori, da oltre vent’anni sono assenti. Ma se i sindacati non garantiscono più una paga minima sufficiente, la speranza è che lo faccia il Parlamento. Questa è la situazione attuale, che presenta due aspetti”.
Quali sono?
“Il primo è che i sindacati sono contrari, perché sostengono che viene tolta loro la capacità contrattuale. Ma ai lavoratori questo interessa poco. Il secondo è se il legislatore può garantire 9 euro all’ora. Lo può fare oggi, ma lo può fare domani? La stessa politica, da anni, in concertazione con le parti datoriali e i sindacati, sostiene che il costo del lavoro italiano è il più alto d’Europa, se non del mondo. Da qui la scelta di approvare riforme del lavoro ed intervenire sulla retribuzione negli anni passati. Quindi come ci si può aspettare che chi propaganda che il costo del lavoro è tra i più alti d’Europa e che è intervenuto per ridurlo posso garantire un salario minimo? Garanzie quindi, non ne vedo. L’unica garanzia è data dai lavoratori stessi”.
Quindi l’introduzione di un salario minimo farebbe perdere peso ai sindacati e alla contrattazione o c’è modo di conciliare le cose?
“È chiaro che, di fronte a salari da fame, il lavoratore si aggrappa al primo salvagente. In questo caso c’è un governo che propone una retribuzione superiore a quella offerta dai sindacati. Si parla di 9 euro l’ora, ma oggi, per esempio, nel comparto dei servizi, che è enorme, il compenso è di 7,58 euro lordi. È chiaro che se il lavoratore sente parlare di 9 euro, lascia i sindacati e si rivolge al governo. Quindi è chiaro che i contratti collettivi normativizzano tutta una serie di materie, e solo la retribuzione non demolisce tutta la contrattazione collettiva. È una parte. Ma il problema di mancanza di potere contrattuale da parte dei sindacati si potrebbe risolvere se il sindacato si fa promotore di aumentare la paga minima a 9 euro, se non a 10”.
Ma occorre anche il consenso dei datori di lavoro…
“Siccome parliamo di retribuzione sufficiente alla sopravvivenza libera e dignitosa, come stabilisce la Costituzione, non ci sarebbero molti problemi a spuntarla in fase di contrattazione. Il discorso che i sindacati possano perdere un potere contrattuale non dipende dalla conquista di un diritto come quello alla sopravvivenza, ma dalla loro attività. Dovrebbero tornare a un discorso di interessi e non solo di mediazione.”
In altri Paesi una legge così è già stata fatta…
“Questo è un discorso complesso, perché ogni Paese ha una storia a sé e una situazione a sé. Su un bisogno basilare come quello della sopravvivenza si è capito che le istituzioni sindacali non sono sufficienti. Quindi la politica è intervenuta e ha “risolto il problema”. È la soluzione preferibile, anche se temporanea. L’aumento stabilito per legge, rispetto a quello che propongono i sindacati, non ha creato problemi. Già nel ’92 i sindacati dei lavoratori, a proposito di perdita di rappresentatività degli interessi dei lavoratori, sono stati d’accordo per l’abolizione della scala mobile, di quel meccanismo che adeguava i salari al costo della vita. Discutibile quanto vogliamo, ma c’era questo meccanismo, e se ci fosse ancora, paghe orarie di 5 euro, in questi vent’anni sarebbero stati adeguati al costo della vita. Ma questo è un altro tema.”
Spesso si parla di legge sulla rappresentanza, mi può spiegare a quale scopo servirebbe e come andrebbe a influenzare il sistema attuale?
“Il problema della rappresentatività nasce nella seconda metà degli anni 80, e ciò ha portato alla nascita di una miriade di sindacati, che crea problemi dal punto di vista delle trattative. Ma questo è un problema che va risolto a monte, sulla possibilità di rappresentare gli interessi dei lavoratori. Finora quanto fatto non va bene, perché o i lavoratori non si sentono rappresentati, o chi li rappresentati li ha portati a una situazione di miseria. Non bisogna però pensare a una legge che intervenga sulla rappresentatività per stabilire quali sindacati possono partecipare alle trattative. Ciò porterebbe solo a una stretta sulla rappresentatività, tralasciando la qualità della trattativa. Per cui una simile riforma non risolverebbe il problema. Aumenteranno le fasce di lavoratori che non si sentiranno rappresentati, e ci sarà un problema sociale di insoddisfazione. Perché vivranno in condizioni di miseria e non avranno un megafono per dire la loro.”