Scomparsi nel nulla. Invisibili. Così, negli anni ‘80, venivano definiti in Giappone i giovani ragazzi che improvvisamente decidevano di ritirarsi nelle proprie camere da letto per non uscirne mai più. Il fenomeno però era solo la conseguenza di un altro ben più profondo iniziato alcuni anni prima quando, nell’immediato dopoguerra, il Paese ferito iniziò a lavorare senza sosta alla ripresa economica. Mentre da un lato però nella società tutto sembrava procedere per il meglio, dall’altro uno strano fenomeno iniziava a imperversare. Durante quegli anni infatti si registrò negli ambienti scolastici il cosiddetto ijime, “perseguitare”, che consisteva nel prendere di mira un soggetto e perseguitarlo appunto, isolandolo e ignorandolo al punto da renderlo invisibile. Il fenomeno si espanse via via sempre di più, tanto da spingere un numero sempre più elevato di giovani al suicidio. Nel giro di poco tempo il governo attivò dei programmi di sensibilizzazione in tutto il Paese che ridussero notevolmente la gravità della situazione. Una sola conseguenza rimase: il ritiro graduale di questi ragazzi nelle proprie stanze, un evento che diede vita a una tendenza sempre più diffusa.
È in quel periodo che si comincia a parlare di hikikomori, da hiku, “tendere” e komoru, “ritirarsi”. All’inizio si pensò a una psicopatologia, tanto da trattare i pazienti con terapie farmacologiche e il governo sottovalutò pesantemente il problema. Nel 1998 poi, Tamaki Saito, giovane psichiatra giapponese pubblicò un libro dal titolo “Ritiro sociale: adolescenza senza fine”, nel quale utilizzò per la prima volta il termine hikikomori e con cui allontanò definitivamente l’idea che quello fosse un disturbo esclusivamente psichico. Si iniziò dunque a pensare a una vera e propria emergenza sociale, seppur locale, alla quale il governo doveva far fronte con interventi rapidi e concreti, finché il problema si espanse a macchia d’olio e attirò l’attenzione di studiosi e psicoterapeuti di tutto il mondo.
Oggi nella società nipponica il fenomeno sembra legato alle sue caratteristiche intrinseche: una realtà rigida, competitiva, in cui la perdita di stima e considerazione per un soggetto viene spesso legata alla perdita di valore e d’identità del soggetto stesso. Per questo motivo, molti adolescenti decidono di rinunciare alla competizione e isolarsi, per vivere un mondo privo di interazioni, senza alcun rischio. Le ultime stime, nel 2019, parlavano di oltre 1 milione di adolescenti isolati nel Paese asiatico, ma, secondo l’esperto Saito Tamaki, la cifra potrebbe essere più vicina ai 2 milioni, come riporta il quotidiano giapponese nippon.com, e la popolazione hikikomori nella nazione potrebbe superare in futuro i 10 milioni. “In Giappone negli ultimi anni anche gli adulti diventano hikikomori”, spiega a Lumsanews Antonio Piotti, psicoterapeuta. Sempre nel 2019, un sondaggio di gabinetto nel Paese, aveva stimato 613 mila persone affette dal disturbo nella fascia d’età 40-60 anni.