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Dalla Camera sì al ddl di riforma del processo penale. M5S: “La delega è un bavaglio”. Contraria anche l’Fnsi

di Anna Bigano23 Settembre 2015
23 Settembre 2015

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Non ci sono soltanto le intercettazioni, a dire il vero, ma per Matteo Renzi e i suoi è questo il capitolo più spinoso della riforma del processo penale approvata stamattina dalla Camera. Il ddl è passato con 314 sì, 129 no e 51 astenuti, fra le proteste del Movimento 5 Stelle, che a bocche imbavagliate innalzava cartelli contro il provvedimento.
Il punto di scontro è soprattutto l’articolo 29, che stabilisce la delega al governo sulla pubblicabilità delle conversazioni telefoniche. Nessuna restrizione dei reati intercettabili (anzi, per quelli contro la pubblica amministrazione il ricorso a quelle che in gergo tecnico si chiamano ‘captazioni’ dovrebbe essere reso più semplice), ma viene accantonata la cosiddetta “udienza filtro” o “udienza stralcio”. Doveva essere il momento in cui il giudice e gli avvocati delle parti stabilivano e depositavano le intercettazioni rilevanti per il processo, rendendole pubbliche e quindi pubblicabili. E invece, marcia indietro. Troppo rischioso, per il Pd, soprattutto nel caso di maxiprocessi: più sono gli imputati – è il ragionamento – maggiori sono le possibilità che le sbobinature diventino di dominio pubblico. Meglio allora aumentare i margini di discrezionalità.
Grazie a un emendamento dell’ultimo minuto della Commissione giustizia, il testo approvato parla di “scansione processuale per selezionare il materiale intercettativo”. Che cosa significa? Tutto e niente: in pratica il governo ha carta bianca nello stabilire il momento in cui i contenuti delle intercettazioni potranno finire sui giornali e le eventuali sanzioni per chi non rispetta le norme. La delega prevede però fino a quattro anni di carcere per chi diffonde «al solo fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui» registrazioni e riprese effettuate in maniera fraudolenta. La punibilità non è prevista invece per i giornalisti che se ne servano per esercitare il diritto di cronaca – prima di questa modifica si era parlato di norma “anti Iene” – e nell’ambito di procedimenti amministrativi e giudiziari.
«Dov’è la sinistra che faceva girotondi, e che ora sta facendo quello che Berlusconi non è mai riuscito a fare? – ha protestato in aula il deputato pentastellato Vittorio Ferraresi –. Chiediamo a giornalisti e a magistrati di denunciare, prima che sia troppo tardi, uno dei provvedimenti più pericolosi degli ultimi trent’anni». Forza Italia si è astenuta dal voto, ma già ieri aveva iniziato a cantare vittoria per bocca di Francesco Paolo Sisto, che ha dato il benvenuto ai democratici «fra coloro che hanno ritenuto le intercettazioni telefoniche dannose, assurde, un fenomeno di inciviltà». Il Pd, nonostante qualche malumore interno, respinge le accuse. «Nessuna limitazione allo strumento in mano ai giudici, né bavaglio alla stampa – precisa il responsabile Giustizia David Ermini – ma la volontà di tenere insieme due principi costituzionali: libertà di informazione e diritto alla privacy». Non la pensa così l’Fnsi, il sindacato dei giornalisti, per il quale la delega al governo minaccia il diritto di cronaca, ma ormai la palla è già in mano a Palazzo Madama.

Anna Bigano

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