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Finanziamento dei partiti, quei conti che non tornano

di Antonio Fera04 Marzo 2025
04 Marzo 2025

Camera dei deputati, commemorazione dell'ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci, 25/02/2025 | Foto Ansa

“Il finanziamento pubblico dei partiti, sopravvissuto anche ai passaggi più tumultuosi, non è mai morto. Ha soltanto, di volta in volta, cambiato nome. E il conto è carissimo”. Nel 2007, denunciando con il celebre libro-inchiesta La Casta una certa politica dalla “caricatura obesa e ingorda”, i giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella non potevano prevedere che, dopo 18 anni, lo stato di salute dei partiti italiani sarebbe stato persino peggiore di allora.

Alla politica i soldi sembrano non bastare mai. Indagare sulle loro tasche non è semplice perché non ragionano come grandi aziende. Se lo fossero, i loro bilanci sarebbero sempre in perdita. A inizio dicembre del 2024 il governo, attraverso la riformulazione di un emendamento di Pd e Avs al decreto “Fisco” del 26 novembre, ha provato a innalzare da 25 milioni a più di 40 lo stanziamento previsto dal 2 per mille ai partiti. Tentativo bloccato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha espresso dubbi “sulla necessità e l’urgenza” di affrontare il tema con un decreto legge.

I soldi pubblici tra Prima e Seconda Repubblica

Per provare a capire qualcosa in più sullo stato dell’arte occorre tornare a una legge approvata circa cinquant’anni fa. L’idea per cui debba essere lo Stato a sovvenzionare la politica nasce nel 1974, dopo la consegna da parte di Enel e altre compagnie petrolifere di fondi occulti a Dc, Psi, Psdi e Pri. Obiettivo: indirizzare la politica energetica dei governi di centrosinistra. Il rimborso delle spese elettorali, sulla spinta del caso Tangentopoli – con il leader socialista Bettino Craxi che sfida i parlamentari a smentirlo sulla corruzione diffusa in tutto il sistema politico – viene abrogato da un referendum del 1993. Nel 2012, il governo Monti dimezza il tetto dei rimborsi elettorali da 182 milioni a 91.

Ma è tra il 2013 e il 2014 che si concretizza quella brusca marcia indietro che l’ex tesoriere Ds Ugo Sposetti definisce “una mossa improvvida”. Il finanziamento pubblico dei partiti viene ufficialmente abrogato da un decreto legge voluto dal governo di Enrico Letta. “Per dare una risposta al clamoroso risultato elettorale del M5S”, argomenta Sposetti con Lumsanews, “Letta usò uno strumento improprio come quello della decretazione d’urgenza. Fu sciocco da parte sua ritenere che potesse rincorrere i grillini così”.

Come funziona oggi la legge sul finanziamento

La norma in vigore da dodici anni prevede che, mentre lo Stato sostiene le attività dei gruppi parlamentari, i privati possano finanziare i singoli partiti. Il fondo per i gruppi iscritti alla Camera e al Senato viene distribuito in base al numero di eletti. I partiti, invece, hanno diritto a due tipi di finanziamento. C’è il 2 per mille dell’Irpef opzionato volontariamente dai cittadini, che non arriva per intero nelle casse dei partiti. E poi ci sono le donazioni dirette che, dal 2013, non possono superare i 100 mila euro. Per Stefano Patuanelli, capogruppo del M5S al Senato, si tratta di una legge “pericolosa se si considera che le donazioni dirette consistono in un elemento di potenziale controllo di chi può essere eletto”, commenta.

Finanziamento dei privati

Il sondaggista Nando Pagnoncelli ci conferma che gli italiani che scelgono il 2 per mille, in realtà, sono “pochissimi”. “Nel 2023 sono stati circa il 4% dei contribuenti: 1,7 milioni su 41,5 milioni di aventi diritto al voto”. I partiti che, dal 2018 al 2024, hanno raccolto di più attraverso questa forma di finanziamento sono: Pd (52,5 milioni di euro); FdI (20,4 milioni); Lega (16,9 milioni) e FI (4,7 milioni). Tuttavia, alla luce di cifre così irrisorie, le forze politiche ormai sopravvivono economicamente solo grazie al finanziamento dei privati, all’autofinanziamento e alle donazioni imposte dai leader ai candidati prima delle elezioni. Tra i nomi dei finanziatori privati spicca quello di Marco Rotelli (gruppo San Donato) che nel 2022 (l’anno delle elezioni politiche), per non deludere nessun leader, ha versato 30 mila euro a testa a ben sei formazioni: Fratelli d’Italia, Lega, Partito democratico, Italia al Centro, Italia Viva e al Comitato elettorale dell’Associazione Impegno Civico di Luigi Di Maio. Il gruppo, contattato da Lumsanews, ha risposto che “su questa tematica” non rilascia “dichiarazioni”.

Il 2 per mille ai partiti

Comparazione bilanci dei primi quattro partiti, periodo 2018-2024

Autofinanziamento e donazioni private

Il report soldiepolitica.it dell’associazione contro la corruzione Transparency sottolinea come il 61,38% dei contributi privati ricevuti dai partiti nel 2022 sia arrivato da candidati ed eletti da cui le singole forze politiche pretendono una “quota volontaria” per un seggio sicuro alla Camera o al Senato: per la candidatura il Pd ha chiesto 50 mila euro; la Lega 20 mila; FdI e Forza Italia 30 mila. Gaetano Quagliariello, ministro per le Riforme Costituzionali nel governo Letta, nel tentare un bilancio sulla norma del 2013 dopo più di dieci anni dal suo via libera risponde che “si sarebbe dovuto fare qualcosa in più per regolamentare il finanziamento indiretto della politica” ma anche che, per lui, “quello è il primo provvedimento che attua in maniera indiretta l’articolo 49 della Costituzione, che lega il finanziamento pubblico a delle prestazioni”.

C’è una legge tedesca che funziona bene

Anche in Germania il finanziamento privato è affiancato da quello pubblico. La legge sui partiti del 1967 stabilisce che le forze politiche possono ricevere finanziamenti pubblici proporzionati ai voti ottenuti nelle elezioni federali e alle quote associative raccolte, fino a un tetto che dipende dalla somma delle donazioni private e delle quote associative. Le donazioni private superiori a 10 mila euro devono essere pubblicate nel rapporto finanziario annuale del partito.

In crisi il rapporto storico democrazia-partecipazione

Finanziamento privato e autofinanziamento rischiano di generare meccanismi di condizionamento e influenza pericolosi per la democrazia. Su questo fa riflettere il commento di Rino Formica, 97 anni, storico ministro socialista durante la Prima Repubblica e lucido osservatore politico. “Parlare di finanziamento pubblico dei partiti diventa marginale e irrilevante di fronte ai mutamenti che si stanno producendo su scala europea e mondiale dopo le elezioni americane”. La mente va alla prima riunione della nuova amministrazione americana che ha visto il debutto irrituale di Elon Musk, principale finanziatore della campagna elettorale del presidente Donald Trump, nonché soggetto in pieno conflitto di interessi in quanto contractor del governo federale. Un fatto che mette ulteriormente in crisi il rapporto storico democrazia-partecipazione. In Italia non si è ancora arrivati a tanto. Per ora.

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