Negozi aperti fino a notte fonda, prezzi stracciati e merce di tutti i tipi stipata in pochi metri quadri. Sono i bangla market, i supermercati gestiti da titolari di origine bangladese, sempre più diffusi in Italia ma soprattutto nella capitale dove si concentra la maggior parte di queste attività. Il monopolio del commercio, però, non è solo nelle loro mani. A farla da padrona anche i negozi gestiti da cinesi che, con scaffali ricolmi dei prodotti più vari, hanno fatto della vendita al dettaglio un cavallo di battaglia.
Due business di comunità diverse tra loro ma legate da un unico filo rosso: il successo imprenditoriale in Italia.
I numeri del fenomeno
Stando ai dati di Infocamere in esclusiva per Lumsanews, nel 2023 nel Paese si contavano 3400 minimercati di proprietà individuale con titolari di origine bangladese. La percentuale più alta per la categoria rispetto ai concorrenti stranieri.
Primato forse inimmaginabile dieci anni fa, quando i bangla market erano solo 559 su tutto il territorio. Un aumento vertiginoso in contrasto con la tendenza generale dei minimercati italiani che invece dal 2013 sono diminuiti in un decennio del 22,6%. Si parla di quasi 11 mila chiusure.
Se i bangladesi sono maggiormente specializzati nella vendita di alimentari, i cinesi sono invece più forti nel commercio al dettaglio con 13.141 imprese individuali attive. Si tratta principalmente di grandi magazzini che offrono articoli di vario tipo, dai casalinghi all’elettronica, passando per cosmetici e ferramenta. Senza dimenticare l’abbigliamento, che però vive di un successo indipendente, dal momento che i negozi specializzati solo in questo settore coprono il 40% delle imprese totali nel Paese.
La vocazione al commercio tra migrazione e integrazione
La crescita delle imprese straniere va in parallelo con quella del fenomeno migratorio. Secondo l’ultimo rapporto del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulla presenza di migranti, negli ultimi venti anni gli arrivi dal Bangladesh sono passati da 22 mila a 150 mila. La popolazione è sempre in movimento a causa degli sfollamenti dovuti ai disastri naturali, che solo nel 2020 hanno portato 4 milioni e mezzo di persone a lasciare la propria casa. E che rendono impossibile mandare avanti pesca e agricoltura, attività su cui si basa l’economia del Paese.
Proprio in virtù di questa propensione “all’imprenditoria nel settore agro-alimentare”, la maggior parte dei bangladesi che arriva in Italia sceglie di aprire un minimarket. A spiegarlo è Katiuscia Carnà, sociologa ed esperta in cultura bangladese, secondo cui l’avvio di un proprio esercizio commerciale “permette loro di attuare un percorso di inclusione socio-lavorativa e di indipendenza”.
“Per aprire un negozietto”, inoltre, “non servono moltissimi soldi”. La procedura di avvio per una ditta individuale nel settore alimentare prevede l’apertura di una partita Iva, la richiesta di autorizzazioni al Comune e l’iscrizione alla Camera di commercio. Un giro di pratiche che richiede circa 1300 euro. Certo, bisogna aggiungere la spesa per la merce e l’affitto del locale. Per trovare il capitale iniziale di solito si decide “di vendere nel Paese di origine un terreno o una proprietà”, oppure “si mettono insieme più soci che poi negli anni, quando l’impresa va bene, si sfilano”.
Anche per i cinesi l’avvio dell’impresa è reso possibile grazie alla comunità d’origine. Come chiarisce Federico Masini, docente di Lingua e letteratura cinese all’Università La Sapienza di Roma, per loro vige il “principio del prestito familiare”. Un ciclo che non si esaurisce quando il debito viene ripagato poiché l’obiettivo è accumulare le risorse necessarie per “sostenere le generazioni successive”. Una logica di “riscatto economico” derivante dal lavoro nel commercio, strada per il “miglioramento del proprio tenore di vita che è lo scopo dell’esistenza”.
Stando al rapporto del ministero del Lavoro sulla presenza di migranti, la maggior parte dei cinesi che vive in Italia proviene dalla regione dello Zhejiang, in passato una delle aree più povere del Paese. È lì che nasce quel modello imprenditoriale fatto di piccole aziende individuali a carattere familiare, esportato dai migranti dalla fine degli anni Settanta, quando il governo cinese avvia una politica più aperta sull’emigrazione. È in quel periodo che, ricorda Masini, la Cina diventa “fabbrica del mondo”, producendo quella “merce a basso costo” che “ha inondato i nostri mercati”. Dall’importazione alla vendita, la filiera resta però “completamente cinese”, gestita tra famiglie con “rapporti molto solidi”.
L’impressione è che la comunità, nonostante sia una delle più numerose in Italia con 290 mila presenze, non si sia integrata del tutto. Un aspetto su cui influisce anche “la scarsa disponibilità ad accettare l’ineluttabile processo delle migrazioni umane” da parte di una fetta della popolazione. Diffidenza scaturita soprattutto da alcuni “fenomeni di malavita” cinese talvolta legati “al riciclaggio di soldi italiani”.
Negozi come banche clandestine
Il 4 ottobre 2023 la Guardia di Finanza di Roma ha emesso 33 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di soggetti accusati di associazione per delinquere. Nel mirino delle indagini organizzazioni criminali italiane che portavano denaro sporco, da riciclare, in negozi gestiti da due comunità familiari cinesi del quartiere Esquilino. Attività che apparentemente si occupavano della vendita di abbigliamento ma che in realtà fungevano da centri di raccolta di milioni di euro destinati all’estero e fatti sparire con il metodo Fei Ch’Ien. Letteralmente “Denaro Volante”.
Il sistema, che risale all’antica dinastia cinese T’ang, si basa sulla “guanxi”, una connessione di persone la cui forza si fonda sul segreto e sulla lealtà reciprocai. A gestire l’operazione, infatti, c’è una rete di più soggetti. Il meccanismo è semplice: la persona che vuole riciclare il denaro e farlo arrivare in un dato Paese – ad esempio in Colombia – porta la somma a un suo referente sul posto, come i negozianti cinesi dell’Esquilino. A quel punto gli viene rilasciato un codice alfanumerico, una sorta di ricevuta, da comunicare al referente in Colombia incaricato di fornire il denaro al soggetto delegato al ritiro. A muoversi, infatti, non sono i soldi ma il loro valore nominale, con un regolamento di conti che avviene solo tra i due referenti.
Le attività criminali cinesi si assumono l’intero rischio della gestione dei soldi, dimostrando così la loro forza sul territorio. Secondo fonti investigative qualificate, proprio questo aspetto porta a non escludere che possano esserci casi simili in Italia, ancora da scovare.
Rintracciare queste banche clandestine, però, non è semplice. La regolazione di denaro tra i referenti avviene infatti in modi diversi, dall’acquisto alla rivendita di beni di lusso ai bonifici di importo frazionato per aggirare i vincoli antiriciclaggio. Metodo impiegato anche dai bangladesi, tenuti d’occhio dalla Guardia di Finanza soprattutto per il fenomeno delle rimesse. Il Bangladesh è infatti secondo i dati della Banca d’Italia al primo posto tra i Paesi che ricevono denaro in uscita dal nostro Paese, ma non sempre i soldi vengono trasferiti alla luce del sole. Nel 2020, ad esempio, sono stati scoperti sei centri di money transfer gestiti da bangladesi che avevano inviato 20 milioni di euro emettendo pagamenti frazionati destinati fittiziamente a familiari e amici.
Due micromondi in Italia
Nel bene o nel male, quindi, a prevalere sembra sempre essere il legame con la madrepatria. Vale per i cinesi il cui “sguardo è sempre rivolto verso il Paese di partenza”, spiega il professor Masini. Ma anche per i bangladesi, che “mantengono il legame con la famiglia di origine per tutta la vita”, sottolinea la sociologa Carnà. Comunità che continuano perciò a costituire un proprio micromondo anche nel contesto nazionale italiano. Dove il successo economico non va di pari passo con l’integrazione sociale.
Fonti:
https://www.openpolis.it/i-soldi-che-i-lavoratori-stranieri-in-italia-spediscono-allestero/ https://www.avvenire.it/attualita/pagine/rimesse-2022
La rivoluzione dei negozi con i prodotti made in China – Corriere.it
https://www.youtube.com/watch?v=cSSCCSnWayM
https://www.piuculture.it/2021/09/municipio-v-quella-bengalese-e-la-comunita-piu-numerosa/