E’ di nuovo polemica sul Museo d’arte del ventunesimo secolo di Roma e sulla sua presidente Giovanna Melandri. Secondo Dagospia, il sito che per definizione ama occuparsi di retroscena politici, l’ex parlamentare del Pd starebbe raggirando la promessa fatta al momento dell’insediamento al Maxxi: quella di non percepire lo stipendio da presidente per un anno. A permetterglielo, uno degli ultimi atti del ministro Profumo: la trasformazione del museo da fondazione, i cui amministratori, per una legge del 2010 definita dalla stessa Melandri “sbagliata”, non assumono compenso, ad ente di ricerca. Quello di non essere pagata per il proprio lavoro è un impegno che la Melandri ha preso pubblicamente quando ha assunto l’incarico “per risollevare le sorti del museo”, come ha ribadito in queste ore dalla Biennale di Venezia, dove si trova con molti altri addetti ai lavori. Ma Dagospia va oltre, supponendo non solo che esista un compenso ma che la sua entità sarebbe stabilita da un consiglio di amministrazione nominato dalla presidente stessa, che ribatte: “Quella di Dagospia per il Maxxi e contro di me è ormai un’ossessione”.
A rafforzare le parole di una delle fondatrici del Pd arriva un comunicato ufficiale del museo stesso, in cui si chiarisce come la procedura di conversione della galleria in ente di ricerca sia iniziata due anni fa e come ora sia solo stata portata a compimento. “È ragionevole che il Maxxi sia anche un ente di ricerca, status che gli consente di accedere a progetti e contributi europei”, ha aggiunto la Melandri.
A far discutere è anche un evento di raccolta fondi tenutosi al Maxxi stesso negli ultimi giorni, a cui hanno partecipato tra gli altri Armani, Prada, Eni e Unicredit ma con pochi inviti ai media. In quell’occasione, il museo ha ricevuto circa 450 mila euro.
Alessandra D’Acunto
