HomeCronaca Mondiali di calcio: Croazia-Serbia, dopo 23 anni torna nei Balcani l’incubo che scatenò la guerra

Mondiali di calcio: Croazia-Serbia, dopo 23 anni torna nei Balcani l’incubo che scatenò la guerra

di marco.potenziani21 Marzo 2013
21 Marzo 2013

Domani si giocherà una partita di calcio tra Serbia e Croazia, valida per le qualificazioni ai mondiali del 2014 in Brasile. E la partita sta diventando una questione politica, di cui parlano ministri dello Sport e ministri dell’Interno dei due paesi. Il 13 maggio 1990, infatti, prima della partita tra la squadra croata della Dinamo Zagabria e quella serba della Stella Rossa ci furono scontri molto violenti tra i tifosi. La partita era molto attesa perché si sarebbe giocata una settimana dopo il secondo turno delle elezioni in Croazia, vinto dall’Unione Democratica Croata, che aveva i suoi più forti oppositori in Serbia, in particolare nel partito socialista di Slobodan Milošević. Dagli scontri violentissimi che si scatenarono tra le tifoserie, esplosero le tensioni che diedero il via alla guerra nella ex – Jugoslavia.

Dopo una guerra quindicinale e una pulizia etnica, con tutto il ginepraio di conseguenze politiche, oggi il clima si suppone molto diverso. Adesso c’è l’Europa di diverso, e temendo che la situazione torni a degenerare le organizzazioni calcistiche hanno deciso di intervenire per questa partita. Michel Platini, capo dell’Uefa, ha scritto una lettera ai presidenti serbo e croato invitandoli a ritenersi responsabili dell’ordine pubblico. All’inizio, la risposta di Zagabria è stata piccata: «Da quando i governi organizzano i match di football?». Poi, quando il clima si è invelenito, hanno fatto retromarcia. Aveva cominciato il mister della Croazia, Igor Stimac, invitando i due ex generali Ante Gotovina e Mladen Markac appena prosciolti in appello dal tribunale dell’Aja dalle accuse di crimini di guerra contro l’umanità, a dare il calcio d’inizio al match. Una trovata oggettivamente bizzarra. Belgrado non aveva ancora finito di protestare che il direttore della Dinamo Zagabria Zdravko Mamic s’è messo a lanciare pesantissime accuse dai microfoni di una radio locale al ministro croato dello Sport Zeljko Jovanovic, che è di etnia serba. L’ha semplicemente definito «un insulto al cervello dei croati». Aggiungendo: «Quando ti guarda sprizza sangue dai suoi occhi. E se osservi il suo sorriso puoi solo vedere i suoi denti digrignare. È un serbo che non ha mai lavorato nell’educazione e nello sport e che non può ricoprire un ruolo così importante».  feriti, la partita fu annullata. Quell’episodio venne successivamente indicato come uno dei più importanti che provocarono il conflitto che distrusse la vecchia Jugoslavia.

Le reazioni. Belgrado è insorta: Alisa Maric, ministro dello Sport, ha chiesto alle autorità croate di prendere posizione e ha definito le parole di Mamic come «l’esempio di un odio che appartiene al passato e che non dovrebbe più tornare».  Mamic è stato arrestato il 15 marzo e rilasciato il giorno dopo, ma l’accusa è di istigazione alla violenza e rischia tre anni di carcere. Quando poi 7 minorenni croati hanno aggredito e ferito con mazze da baseball 8 giovani seminaristi di un monastero serbo ortodosso, Zagabria s’è ammorbidita anche con l’Europa del calcio e il ministro dell’Interno Ostojc ha appena finito di lodare il «coordinamento conla Uefa per valutare tutte le misure di prevenzione».
Le tifoserie. Il problema sono gli ultrà: in Serbia, gli stadi sono quasi vuoti, riempiti solo nelle curve dagli estremisti: quelli del Partizan, i Grobari, che vuol dire becchini, e quelli della Stella Rossa, che si chiamano Delje, gli intrepidi, tutti ultranazionalisti, ragazzini cresciuti nella periferia di Belgrado e vicini al partito Radicale di Seselj, ancora sotto processo all’Aja. Gli hooligan serbi e lo Snp hanno impedito per due anni l’organizzazione del gay pride a Belgrado. E a Zagabria la situazione è la stessa: gli ultrà della Dinamo sono i Bad Blue Boys, stesse radici e stessa ideologia, e identici drammi sociali con due economie che galleggiano paurosamente nella crisi.  Sulle ceneri della Jugoslavia di Tito, sotto le quali il fuoco cova ancora, in campo ci saranno molto più che 22 giocatori.

Marco Potenziani

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