Duemiladodici annus horribilis per le aziende italiane. Negli scorsi dodici mesi gli echi della crisi recessiva si sono fatto sentire non solo sulle famiglie ma anche sulle imprese, soprattutto le medie e le piccole. Una tendenza ampiamente prevedibile ma ora confermata dagli ultimi dati del Cerved; il gruppo, che con le sue statistiche orienta le principali strategie di business, come ogni ha diffuso i numeri sullo stato di salute delle imprese italiane.
I numeri della crisi. Il quadro che emerge è davvero desolante: 90mila procedure di liquidazione avviate, 12mila fallimenti e 2mila procedure di chiusura non fallimentare per un totale di 104mila imprese costrette dalla pressione fiscale a dover abbassare la saracinesca; il 2,2% in più rispetto al 2011. Ad allarmare è soprattutto il dato relativo ai fallimenti: «Il picco toccato — ha commentato Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerves — supera del 64% il valore registrato nel 2008, l’ultimo anno prima della crisi».
Un crollo di lungo periodo. Dal 2009 sono state oltre 45mila le sole imprese fallite; quelle del settore terziario le più colpite con 21mila fallimenti. Ma anche il comparto industria ha pagato a caro prezzo gli impegni contratti nel periodo pre-crisi: il numero di società manifatturiere fallite nell’ultimo triennio ammonta al 5,2% di quelle che avevano depositato un bilancio “in regola” all’inizio del 2009, contro il 4,6% delle imprese edili e il 2,2% dei servizi. Casa, abbigliamento, beni intermedi e meccanica i settori in cui si concentra maggiormente il tasso di “default” degli imprenditori italiani; mentre dal punto di vista geografico, al nord la crisi è stata avvertita di più rispetto al meridione.
Marcello Gelardini