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Crisi Fiat, stop a Pomigliano e flop negli Usa

di Lorenzo Caroselli19 Luglio 2012
19 Luglio 2012

«Chiuso per crisi»: è la scritta che idealmente campeggia sui cancelli di Pomigliano d’Arco. Le vendite di auto crollano e Fiat decide di bloccare la produzione – dal 20 al 31 agosto – anche nella Newco Fabbrica Italia, riaperta da otto mesi, lo stabilimento-simbolo dell’era Marchionne che con la produzione della nuova Panda avrebbe dovuto rilanciare tutto il settore. Invece, per i 2.150 lavoratori arrivano due settimane di cassa integrazione: un brutto colpo, a pochi giorni dalle ferie estive. Il Lingotto parla di «fermata produttiva», imposta dal mercato, che in Italia è scivolato ai livelli del 1979 e sta penalizzando soprattutto il segmento delle city car dove Fiat, con Panda e 500 (prodotta in Polonia) detiene una quota del 60%: «Per lo stabilimento di Pomigliano – si legge nella nota – in salita produttiva dall’inizio dell’anno, non era stato fino ad oggi necessario alcun intervento.

Oggi, però, la situazione impone di ridurre la produzione per evitare inutili e costosi accumuli di vetture». In pratica, l’utilizzo della cassa integrazione, come già in passato, rappresenta per Fiat l’estremo tentativo di riportare l’equilibrio fra produzione e domanda. Per ora: «Nei prossimi mesi – prosegue la nota – la situazione sarà oggetto di continuo monitoraggio». I numeri, d’altra parte, parlano chiaro: i dati del mercato automobilistico europeo (-6,30% nel primo semestre dell’anno) e di quello italiano in particolare (-24,4% a giugno e -19,7% nel primo semestre) confermano che la crisi delle vendite non accenna a fermarsi.

La situazione è drammatica anche oltre confine: tanto che Psa Peugeot Citroen ha appena annunciato che taglierà 8mila posti di lavoro, con la chiusura dello stabilimento di Aulnay-sous-Bois, vicino a Parigi. E la preoccupazione era di casa da un pezzo, anche nella Newco di Pomigliano: «C’era il sentore che qualcosa non andava – spiega Biagio Trapani, uno dei lavoratori -: non era mai successo che Fiat facesse partire le ferie a luglio. La fabbrica era sempre rimasta chiusa ad agosto, e quando ci è stata comunicatala Cig, per noi è stato come fare un salto nel passato. Nel nostro lavoro il mercato è sovrano, e ora sta fermando anche Fabbrica Italia». Colpa del mercato: lo ripetono anche i sindacati, da Giovanni Sgambati (segretario regionale Uilm Campania) a Giuseppe Terracciano (segretario Fim Napoli), mentre Roberto Di Maulo, leader della Fismic, lancia la sua ricetta: la campagna «Siamo italiani e compriamo italiano», che partirà a settembre, perchè «i lavoratori italiani meritano ancora una chance».

L’ad Sergio Marchionne «ha sbagliato previsioni su prodotti, investimenti e durata della crisi», attacca su Twitter il responsabile auto della Fiom, Giorgio Airaudo, chiedendo al governo di salvaguardare il settore «anche con altri produttori» e «tutelando i componentisti che chiudono». Mentre Vittorio Granillo, dell’esecutivo nazionale dello Slai Cobas, sostiene che «la crisi di mercato è solo una scusa», e che «il vero problema è solola Fiat».Ma anche il mondo politico ha preso posizione: «Il ministro Passera – chiede Cesare Damiano, capogruppo del Pd nella commissione Lavoro di Montecitorio -convochi Marchionne e i sindacati per chiarire la situazione della Fiat». E ai microfoni di Radio anch’io il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, commenta: «La Fiatnegli anni ha avuto grande attenzione da parte del settore pubblico. Oggi se ne va alla chetichella e questo è negativo. Non ho visto attuare i programmi di investimento promessi. Per questo da italiano non posso santificare Marchionne». Dura anche la reazione del responsabile lavoro e welfare dell’Italia dei Valori, Maurizio Zipponi: «Le due settimane di stop imposte allo stabilimento di Pomigliano sono l’ennesima dichiarazione di guerra nei confronti dei lavoratori». Sciopero di otto ore, intanto, nello stabilimento Fiat di Piedimonte San Germano, vicino a Cassino, in provincia di Frosinone, per contestare l’ipotesi di accorpamento della fabbrica con Pomigliano e per chiedere all’azienda torinese investimenti per assicurare lo sviluppo del più importante stabilimento del Lazio.

Lorenzo Caroselli

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