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Crisi demografica, allarme Italia

di Rossella Dell'Anno28 Febbraio 2020
28 Febbraio 2020

pixabay

In Italia continua a diminuire la popolazione. Dal 2015 il numero di persone che risiedono sul territorio nazionale è in costante calo. Più morti che nati, e un numero di nuovi ingressi dall’estero non più sufficiente ad arrestare quella che sembra sia una vera e propria emorragia demografica. Il dato più significativo si è registrato nel 2019: iscritti all’anagrafe per nascita solo 435mila bambini, il minimo storico dall’Unità d’Italia.
Al 1° gennaio 2020 i residenti ammontano a 60 milioni 317mila, 116mila in meno rispetto allo scorso anno. Per quanto riguarda il ricambio naturale, ci troviamo di fronte al livello più basso dal 1918: 647mila decessi contro 435mila nati vivi (-212mila). Dato ancora positivo, ma in rallentamento, è quello che riguarda i flussi migratori netti con l’estero: il saldo è di +143mila, 32mila in meno rispetto al 2018, frutto di 307mila iscrizioni e 164mila cancellazioni, cioè sostanzialmente italiani che hanno lasciato il proprio paese per vivere e lavorare altrove.

L’Istat ipotizza nei prossimi 50 anni un improvviso e preoccupante calo demografico: dai 60, 4 milioni di abitanti del 2018 si passerebbe a 58,8 milioni del 2045 e 53,8 del 2066. Secondo l’Ocse, nei prossimi trent’anni, invece, in Italia gli over 50 inattivi o pensionati, dovrebbero superare la popolazione occupata. Il rapporto tra over 50 inattivi e pensionati, da una parte, e popolazione occupata, dall’altra, oggi è pari al 68%, ma nel 2050 dovrebbe superare il 100%. In pratica ci saranno più pensionati e inattivi che lavoratori.

Secondo l’Istat, il fenomeno della diminuzione demografica è legato principalmente al fatto che la generazione più numerosa dei baby boomer, sia uscita dall’età riproduttiva e sia stata sostituita da una generazione meno numerosa nata dopo la metà degli anni settanta. Tra il 1946 e il 1964 in Nord America e in Europa ci fu un sensibile aumento demografico. La generazione dei baby boomer contribuì notevolmente all’aumento di domanda per beni di consumo, stimolando la crescita economica registrata in quel periodo.

Altra causa che contribuisce al declino demografico è l’emigrazione. Se nel 2008 emigravano circa 80mila persone, dieci anni dopo questo numero è raddoppiato, raggiungendo le 157 mila unità, con una crescita di 2mila unità rispetto al 2017.
Un recente sondaggio di Swg descrive una situazione allarmante. La ricerca realizzata nei primi mesi del 2020 su un campione rappresentativo nazionale di 1.000 persone maggiorenni, con metodo CATI-CAMI-CAWI, identifica le cause che portano a una scarsa natalità e mette in risalto alcuni fattori e giustificazioni sul perché in Italia, quella generazione di mezzo che va dai 25 a 44enni, non fa più figli, ne fa pochi oppure non ne farebbe più. Il 15% delle persone che hanno figli non li rifarebbe; questo dato sale al 22% (quasi uno su quattro) nell’età compresa tra i 25 e i 44 anni. Il sondaggio Swg spiega anche che il 67% delle persone pensa che “senza un figlio la vita è incompleta”; tra quelli che si collocano nella fascia 25-44 solo il 57% si dice d’accordo con l’affermazione.

Ma quello che il sondaggio mette principalmente in evidenza è la percezione degli italiani che non pensano che la crisi demografica possa essere un problema per il sistema paese. Solo il 33% degli intervistati ritiene che “il calo demografico sia una priorità da affrontare”. Nella fascia 25-44 questa percentuale scende al 24%, nonostante demografi ed economisti sostengano con forza che uno dei motivi base del declino italiano risieda anche nell’invecchiamento della popolazione e conseguente riduzione di vitalità e vivacità intellettuale.

Dal sondaggio emerge che l’insicurezza economica sia la prima causa della rinuncia ad avere figli (per il 66% degli intervistati e per il 74% di chi fra questi non ha figli). Pesa anche la precarietà lavorativa, secondo il 62% degli intervistati, e il 70% tra coloro che non hanno figli.

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MODELLO BOLZANO

L’unica Provincia italiana che vanta un tasso demografico positivo è quella di Bolzano. Lo scorso anno le nascite sono state 5.284 e i decessi 4.397, con un saldo di +887. L’applicazione di politiche per la famiglia e per il sostegno alla natalità che la Provincia mette in atto grazie alla sua autonomia, contribuiscono alla tenuta demografica del territorio. In Alto Adige ci sono tre forme di assistenza per famiglie e bambini che hanno dai 3 mesi ai 3 anni: asili nido, microstrutture e assistenti per l’infanzia. Le microstrutture per l’infanzia vengono costruite dai comuni e gestite da cooperative sociali; il loro costo varia in base al reddito delle famiglie, da 90 centesimi in su. Le famiglie con bambini da 0 a 3 anni hanno inoltre diritto a un assegno provinciale, e viene stanziato per i nuclei familiari con reddito e patrimonio non superiori agli 80mila euro. La somma in questo caso è di 200 euro al mese per figlio fino a tre anni.
Nel settore privato, i padri lavoratori dipendenti che usufruiscono del congedo parentale, possono ricevere fino a 800 euro al mese di contributo entro i 18 mesi di vita del figlio. Si aggiunge anche un contributo che varia in base al reddito delle famiglie che hanno due figli minorenni, un solo minore di 7 anni o un figlio portatore di handicap anche se maggiorenne. Si aggiungono poi gli assegni statali per la maternità e per il nucleo familiare.

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