Abbiamo intervistato Bobo Craxi, deputato del Nuovo Psi dal 2001 al 2006 e membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sull’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Come mai la Commissione non ha fornito un contributo significativo?
Partecipai a diverse sedute, non a tutte, e quello che posso dire è che non c’erano grandissimi elementi a disposizione. Si parlava di un fatto accaduto nove anni prima e in un Paese straniero. Diciamo che la Commissione aveva strumenti che reputo insufficienti.
Crede che la Commissione non abbia fatto tutto il possibile nella ricerca di elementi utili per fare chiarezza sulla vicenda?
Non c’è stata trascuratezza. Si batté la pista del traffico e del trasporto illegale di armi, in base anche ad alcune deposizioni da cui scaturì un’altra fase dell’istruttoria. C’era grande confusione in Somalia e gli elementi a disposizione erano abbastanza sommari e non decisivi. Quello che io escludo è che si trattasse di un banale incidente a seguito di una rapina, piuttosto uno scontro a fuoco ma non un tentativo di estorsione. Penso che il contesto fosse piuttosto complesso. Può darsi che i giornalisti cercassero delle informazioni, ma non credo che battessero esattamente una pista per la quale sono stati uccisi, almeno non sono mai emersi elementi chiari da questo punto di vista. Credo comunque che le indagini su eventuali legami tra la morte della Alpi e di Hrovatin e traffici di rifiuti tossici o armi andassero svolte nell’immediatezza dei fatti. Stranamente questo non è avvenuto. Dovrebbero risponderne i parlamenti che hanno preceduto la nostra legislatura.
Il Presidente della Commissione era Carlo Taormina, che definì l’ultimo viaggio di Ilaria Alpi una “vacanza”, ridimensionando il duplice omicidio ad un tentativo di rapina finito male. Come commenta in merito?
Sono parole assolutamente fuori luogo.
A venticinque anni di distanza crede sia ancora possibile fare luce sulla vicenda o non si giungerà mai ad una verità storica?
Ho l’impressione che non vi sia alcuna spinta alla ricerca di una verità condivisa. Il problema è che non c’è neanche una tesi. In casi analoghi, penso alla giornalista Graziella De Palo scomparsa in Libano nel 1980 o più recentemente al ricercatore Giulio Regeni assassinato in Egitto, è difficile recuperare informazioni nuove.
Ritiene plausibile che vi sia stato un intervento di servizi o apparati deviati dello Stato, volto a depistare le indagini successive all’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin?
Non saprei. Tenga conto che, durante una guerra civile, gli elementi disturbatori non sono soltanto di carattere italiano, possono essere benissimo anche internazionali. Quindi aver escluso la presenza di servizi stranieri o non aver neanche battuto quella pista è stato un errore. Nel contesto somalo era chiaro quale fosse l’interesse, le potenze erano anche alleate tra l’altro, e in quel momento avevano mosso la loro azione politica e militare per sottrarre la Somalia alla sfera d’influenza dell’Italia. Trovo plausibile, ma non per questo probabile, che questo depistaggio nasca dal fatto che un possibile omicidio nato in un contesto straniero venga attribuito ad ambienti italiani e questa pista non è mai stata battuta. Si è intrapresa una via “casalinga”, escludendo a priori che questo omicidio possa essere stato effettuato da una mano straniera, non soltanto somala, ma anche di altri paesi.
È scomparsa lo scorso giugno Luciana, la mamma di Ilaria Alpi. Che ricordo ha dei genitori e della battaglia che hanno condotto per arrivare alla verità?
Si sono battuti moltissimo e anche grazie a loro si sono scritte bellissime pagine di solidarietà nei confronti della figlia. Nel suo nome, in qualche modo, si è elevato il giornalista di guerra come eccellente figura professionale. La loro opera è stata estremamente meritoria. Non soltanto per la ricerca della verità, ma per la difesa e la tutela dell’immagine di Ilaria.