La sentenza è giunta ieri e pesa già come un macigno, soprattutto per le conseguenze che si ripercuoteranno sull’intero establishment. Il tribunale ha condannato Pierangelo Daccò, il faccendiere e grande amico del governatore Roberto Formigoni, a dieci anni di detenzione, esattamente il doppio di quanto richiesto dall’accusa. L’inchiesta sul sistema San Raffaele, travolto da debiti per un miliardo e mezzo di euro, sembra forse arrivata a una svolta. La sentenza arriva al termine di un processo con rito abbreviato, che ha tra l’altro disposto una provvisionale, immediatamente esecutiva, nei confronti dell’imputato: cinque milioni di euro da versare alla nuova fondazione Monte Tabor, come anticipo del risarcimento da stabilire successivamente in sede civile. Assolto, invece, “per non aver commesso il fatto” l’imprenditore Andrea Bezzicheri; nei suoi confronti il pm Luigi Orsi aveva chiesto tre anni di reclusione. E’ stato chiesto il patteggiamento, infine, dai due ai dieci anni per Mario Valsecchi, ex direttore finanziario.
Il “sistema San Raffaele”. I capi di accusa che pendono su Daccò, detto Piero o Don Pedro, vanno dall’associazione a delinquere finalizzata alla distrazione di fondi, all’appropriazione indebita, frode fiscale e concorso in bancarotta. La sua funzione consisteva nell’occultare il denaro sottratto alla fondazione, canalizzandolo attraverso una serie irrintracciabile di conti esteri. Secondo i documenti raccolti dalla Procura della Repubblica di Milano, a partire dal 2005, dalle casse del San Raffaele sarebbero stati distratti 47 milioni di euro, di cui cinque incassati direttamente nelle tasche di Daccò e gli altri spesi tra vacanze ai Caraibi e yacht.
La difesa. “Una condanna già segnata”, commenta l’avvocato Giampiero Biancolella, che riservandosi di leggere le motivazioni della sentenza tra 90 giorni, si prepara al ricorso in appello. “La sentenza potrebbe avere i piedi di argilla – continua ancora Biancolella – perché si è basata sugli stessi identici motivi per i qualila Cassazione ha rigettato la prima ordinanza di custodia cautelare nei confronti del mio assistito”. Il giudice ha respinto anche la richiesta di scarcerazione per Daccò, nonché la richiesta in subordine degli arresti domiciliari.
I contraccolpi politici. Non si sono fatte attendere le reazioni da parte del mondo politico. “La condanna mette in evidenza le influenze da parte di operatori privati sulla Regione”, dichiara il capogruppo regionale del Pd Luca Gaffuri. E aggiunge: “Ribadiamo la necessità che si vada al più presto al voto in Lombardia”.
di Marina Bonifacio