Il sistema sanitario nazionale si è mobilitato per affrontare l’emergenza in atto dovuta al Covid-19. Tuttavia in Italia, come nel resto del mondo, i malati affetti da altre patologie non sono svaniti nel nulla. Le cure di cui avevano bisogno anche prima della pandemia restano invariate. Più volte è stato consigliato ai cittadini di non recarsi nei pronto soccorso degli ospedali per non ingolfare le struttura, già messe a dura prova, ma anche per il rischio che si corre di contrarre il Coronavirus in questi luoghi.
Il suggerimento però non vale per tutti. Malgrado il Covid-19 possa moltiplicare per sei volte il rischio d’infarto emerge come, in queste ore, un cardiopatico su due cerchi di evitare i controlli medici per paura del contagio. A lanciare l’allarme è la Società italiana di cardiologia. È proprio ai cardiopatici che potrebbero rischiare la vita a cui si rivolge l’appello di Fabrizio Oliva, direttore di cardiologia 1- Emodinamica dell’Ospedale Niguarda di Milano: “È importante, pur in un momento storico di emergenza sanitaria e in cui è bene recarsi il meno possibile al pronto soccorso per evitare possibilità di contagio, ricordarsi che i cardiopatici restano comunque a rischio, soprattutto quelli affetti da cardiopatia ischemica e insufficienza cardiaca. Per cui nel caso si avvertano disturbi quali dolore al petto forte e insistente, specie se associato a dolore al braccio (soprattutto sinistro), sudorazione, malessere intenso, non lo si sottovaluti, perché possono essere i primi sintomi di un infarto miocardico. In questi casi bisogna chiamare il 118 per essere valutati in urgenza” dice il cardiologo. In tutta Italia, come ricorda, sono regolarmente attive le reti per l’infarto.
L’ospedale inoltre resta un punto di riferimento anche per chi è affetto da leucemia mieloide cronica, una patologia che non comporta immunodeficienza.
Ma questa attenzione non riguarda solo i cardiopatici, e anzi si estende a tutti i pazienti con patologie gravi. Lumsanews ha intervistato Walter Meucci, presidente di AIP LMC, l’Associazione italiana pazienti leucemia mieloide cronica, che ha spiegato come si è mossa l’associazione in questo momento storico per aiutare i pazienti: “Abbiamo cercato di ottenere che i farmaci necessari fossero assegnati alle farmacie invece che negli ospedali, per evitare che ogni due mesi le persone si debbano recare nelle strutture, con tutti i rischi che ciò comporta. Ma non ci siamo riusciti”. Meucci sottolinea poi che finora non è stata riscontrata alcuna carenza di medicinali né particolari difficoltà nella distribuzione.