Da oggi l’Italia intera è zona rossa (o protetta, come ha detto il premier Conte) e già si vedono scene di panico. La nottata è stata caratterizzata da un vero e proprio assalto ai supermercati in diverse città italiane, da Roma a Napoli. La psicologa Paula Benevene, docente della Lumsa, è intervenuta ai nostri microfoni per analizzare la situazione.
La chiave in questo momento è la paura?
“Sicuramente c’è un aspetto irrazionale che purtroppo, però, è fondato. Nel senso che la paura è cresciuta perché le informazioni sono state date in maniera attenta ma, soprattutto all’inizio, questa malattia è passata come un’influenza che avrebbe colpito le persone più deboli. Questo ha portato a un livello d’allerta forte ma inferiore al necessario”.
Ma le persone non hanno cambiato radicalmente le proprie vite.
“È una questione di abitudini: noi in Italia abbiamo una temperatura esterna che consente una facilità nei rapporti sociali. Nell’uscire fuori casa, quindi, c’è un’abitudine anche consolidata che ovviamente in una situazione del genere va a cozzare anche con un modo di ragionare quotidiano”.
A Roma la situazione rischia di esplodere, c’è chi dice che pagheremo la movida che è continuata nelle settimane e che presto arriverà un picco di contagi. Che ne pensa?
“Quello che probabilmente è successo a Roma è che i ragazzi hanno sottovalutato non tanto che loro si potessero ammalare, perché in tutta questa prima fase della malattia sembrava fossero abbastanza immuni o capaci di resistere, ma che loro potessero essere veicolo d’infezione per altri: persone più anziane, malate. D’altra parte è anche vero che sono rimasti aperti i locali pubblici, quindi il messaggio che è arrivato a loro è che, tutto sommato, se erano aperti si poteva restare fuori a incontrarsi con gli altri. L’ordinanza in questo senso finalmente pone un limite”.
E ora che succede?
“Ora cambiano le abitudini, però, anche se c’è questo disagio iniziale, potrebbe essere un’occasione per riscoprire tante cose: la lettura, l’ascolto della musica, imparare a stare un po’ soli. Sappiamo che questa situazione è di emergenza ma transitoria, siamo abituati a stare in mezzo al rumore e a tanta gente, quindi fermarsi un attimo e stare di fronte a se stessi all’inizio può essere spiazzante ma può essere un’occasione per capirsi meglio, per riflettere e per provare ritmi di vita diversi dal solito”.
Cosa scatta nella testa delle persone che assaltano i supermercati nonostante si ripeta da settimane che verranno regolarmente riforniti?
“C’è panico e una reminiscenza di quello che succedeva nella seconda guerra mondiale. L’assalto ai supermercati, lo sappiamo, non serve. Non c’è il problema dell’approvvigionamento dei generi alimentari, bisognerebbe vedere quali sono le fasce di età e di istruzione. Ora, siccome l’immagine di questi giorni è un po’ quella della guerra: bisogna stare dentro casa, dobbiamo difenderci, non dobbiamo fare cose che compromettano la nostra salute, non ci esponiamo fuori… è un po’ il modo di rivivere e di gestire una situazione che ce ne risolve un’altra ma con cui in realtà non ha niente a che vedere”.
Quindi avere scorte alimentari tranquillizza le persone?
“Sapere che posso rinchiudermi in casa e avere tante cose da mangiare è la ricerca di sicurezza attraverso il possesso di oggetti. Non siamo più sicuri di avere la salute ma almeno il possesso degli oggetti di sopravvivenza, è una reazione emotiva, non razionale. Un altro elemento è il senso di stato d’assedio che questa situazione crea: negli stati di assedio si resiste meglio quando ci sono le derrate alimentari a disposizione, la paura di non essere autosufficienti, di non essere autonomi e di resistere fino a tempo indeterminato. Anche perché c’è la sensazione che non sappiamo fino a quanto durerà. Questo non giustifica in ogni caso l’assedio ai supermercati, ma spiega la reazione irrazionale”.